di RENATO BONA
Sessant’anni fa, l’8 settembre 1962, chiuse i battenti la miniera di Valle Imperina, in territorio di Rivamonte Agordino. Il giacimento di pirite cuprifera per lo sfruttamento del quale sorse, fin da tempi remotissimi che risalgono probabilmente all’epoca romana, la miniera di Valle Imperina, quando era coltivato da privati, risultava “ubicato in corrispondenza del contatto geologico che si manifesta nel vallone del torrente omonimo che confluisce nel Cordevole, a circa tre chilometri a valle di Agordo”. La chiusura, sancita ufficialmente da un decreto ministeriale del 2 settembre dell’anno successivo, fu – come si legge nel libro di Marco Orlandi “Una miniera veneta. Valle Imperina dal 1866 al 1962” (Nuovi Sentieri editore di Bepi Pellegrinon, tipografia Piave di Belluno, ottobre 1980; in copertina: “Ingresso alle Miniere di Agordo” da Giuseppe Alvisi: Belluno e sua provincia; presentazione di Tito Livio Ben, preside dell’Itim Follador di Agordo)) – l’atto che rappresentò non solo la fine di un’attività economica plurisecolare nell’industria bellunese, ma anche e soprattutto l’estinguersi di un mondo, se pur ristretto, nel quale per secoli gli abitanti di quei monti identificarono la possibilità di sopravvivere e di portare a casa il pane per le loro famiglie”. Orlandi ricordava che “Più di 400 operai furono impiegati, in media, negli ultimi due secoli, nello sfruttamento della miniera, per loro essa rappresentò l’alternativa all’emigrazione e alla sofferenza di un lavoro saltuario”. Ma non trascurava di specificare che: “Nel 1911 le maestranze della miniera si resero protagoniste di uno dei maggiori scioperi che l’industria mineraria abbia mai registrato, prolungato per circa tre mesi. Nel 1931, la miniera rimase chiusa per in lungo periodo, e tale chiusura causò la mancanza di lavoro per tutti gli operi del giacimento; e ancora innumerevoli sono state le vicissitudini superate dai minatori di Rivamonte nell’arco di tanti secoli”. Quarantasette anni dopo la chiusura di ogni attività mineraria venne realizzato il video “Dentro le miniere di Valle Imperina”, opera del Gruppo speleologico del Cai di Feltre i cui esperti entrarono nelle gallerie dell’ex sito minerario. Per l’occasione il Club Unesco Agordino presieduto da Giuliano Laveder ne propose nella Casa della gioventù la presentazione in collaborazione con il Gruppo speleologico del Cai feltrino, il Parco nazionale Dolomiti Bellunesi e Arca. Ma torniamo alla miniera per rammentare con Orlandi che “Attraverso i secoli la zona mineraria di Valle Imperina riuscì ad occupare non solo quasi tutti gli abitanti del comune di Rivamonte, ma agì come polo di attrazione anche nei confronti di comuni limitrofi come quello di La Valle, Agordo, Voltago, Taibon, Tiser” e per registrare che “Il raggio di attrazione doveva essere un tempo anche maggiore se in questi comuni il mestiere del minatore è rimasto tradizionale fino ai giorni nostri e costituisce di solito la specializzazione di quanti emigrano. L’importanza poi per la società del basso Agordino, dell’attività estrattiva che si imperniava sulle miniere è provata anche dalla nascita della Scuola mineraria di Agordo, divenuta poi Istituto tecnico minerario statale, fondato ufficialmente appena nel 1867, ma esistente di fatto già dal 1775, anno in cui la ‘Terminazione del magistrato sopra le miniere’ decretò la nascita di una scuola di specializzazione mineraria”. Venendo ad un’epoca più recente, bisogna sottolineare che dopo la Grande Guerra, alla società Magni che gestiva la miniera, subentrò la società Montecatini “che dovette affrontare notevoli lavori per consentire la ripresa dell’attività estrattiva: nel 1919 venne ultimato il prosciugamento della zona bassa; l’anno seguente vennero avviati i lavori di ricostruzione e potenziamento della centrale idroelettrica con 4 turbogeneratori per complessivi 400 KVa. I lavori furono ultimati nel 1921 anno nel quale venne estesa a tutti i cantieri del sotterraneo la perforazione meccanica con l’installazione all’aperto di due gruppi di compressori d’aria. Peraltro, ricerche intraprese dalla stessa Montecatini portarono alla conclusione che il giacimento si andava esaurendo “per mancanza di parti o masse che non fossero già state in passato disordinatamente e ripetutamente coltivate”. Sicché abbattuti i prezzi e contrattisi i consumi in genere “risultò pressoché inevitabile nel 1931 interrompere la coltivazione non più redditizia e già passiva”. Solo considerazioni di carattere sindacale indussero le autorità e la Montecatini ad una ripresa dell’attività con produzione annua di 40-50 mila tonnellate mantenuta anche durante il periodo bellico. Nonostante questo aumento di produttività, la miniera, sotto l’aspetto economico restava passiva e portò, nel 1961, ad una prima riduzione del personale, proseguita nel 1962, anno in cui, fu attuata la definitiva sospensione dell’attività produttiva della miniera di Valle Imperina.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro”Una miniera veneta. Valle Imperina dal 1866 al 1962” di Marco Orlandi): la copertina del volume;sede della direzione e stazione di scarico della filovia della miniera; fabbricati esterni di Val Imperina; addetti e carri per il trasporto di materiale; foto di gruppo dei lavoratori; ingresso secondario della miniera; così i fabbricati all’inizio del secolo; altri fabbricati d’epoca; i minatori di un tempo; lavoratori all’ingresso principale del sito; foto ricordo per tre colleghi; interno della miniera; si scava all’interno; una comitiva in visita; la famiglia Magni; minatori all’interno di una “zecca”; trasporto del minerale alla superficie attraverso il pozzo.