BELLUNO Con una lettera aperta Alessandra Fontana, segretario generale della FILT CGIL, e Federico Cuzzolin, segretario generale dell UIL Trasporti Belluno Treviso, mettono in luce il problema del trasporto pubblico che non riesce a trovare autisti per i pulman.
LA LETTERA
Da tempo sosteniamo con fermezza come il tema dei trasporti abbia una portata generale e come serva una visione strategica complessiva, pena la sopravvivenza dell’intero territorio. Lo abbiamo sostenuto nella prima fase dell’emergenza Covid, chiedendo di ripartire con il servizio e di rinunciare alla cassa integrazione, lo abbiamo ribadito con la riapertura delle scuole e con l’entrata in vigore del green pass. Lo diciamo ancora una volta oggi, con la stagione sciistica alle porte e con il problema di non riuscire a garantire il serivizio ski bus. Mancano autisti. Il grido di allarme lanciato da più parti. Niente di nuovo. Da anni, nei confronti con l’aziende, ai tavoli isitituzionali evidenziamo le cause, che da parte nostra, non rendono più appetibile un lavoro che per molti anni ha rappresentato un’eccellenza, soprattutto nel nostro territorio. Si tratta di ragioni che partono da lontano, da una contrattazione nazionale bloccata da troppo tempo. Proprio in questi giorni le nostre strutture nazionali hanno confermato lo stato di agitazione, dopo la chiusura negativa del confronto con le associazioni datoriali. Le proposte avanzate dalle associazioni di categoria, che condizionano il rinnovo del ccnl, sono assolutamente inaccettabili e non tengono in alcun conto le richieste economiche e normative avanzate dalle parti sindacali. E mentre da una parte aumenta il carico di lavoro, la responsabilità, lo stress, dall’altra il salario rimane fermo, con dei minimi retributivi assolutamente inadeguati, offensivi per il lavoro svolto. Ma non è migliore la situazione a livello di contrattazione aziendale: il testo unico è congelato da oltre 15 anni e gli accordi con cui, in qualche modo, si è tentato di dare una risposta alle richieste economiche dei lavoratori (in maniera, ce ne rendiamo conto, molto sommaria) hanno una durata limitata, sono legati ad un bilancio su cui i lavoratori non hanno alcun potere di incidere (parlare di produttività, di miglioramento dell’efficienza del servizio fa quanto meno sorridere) e sono condizionati, per lo più, ad un welfare che poco si adatta a lavoratori la cui vita lavorativa non consente alcuna programmazione dei tempi di vita. Questo lavoro dunque non è remunerativo, economicamente non competitivo. Chi decide di fare l’autista, sappia, non lo farà per i soldi. Tanto meno a Belluno. E poco importa che si tratti di un lavoratore che salga dal Sud o che si tratti di un Bellunese da 15 generazioni. Faranno entrambi fatica ad arrivare a fine mese. Potrebbe farlo per una passione. Peccato però che l’organizzazione dei turni faccia ben presto tramontare qualsiasi vocazione.. a meno che non si tratti al martirio. I nastri (i periodi in cui il lavoratore, di fatto, è a disposizione dell’azienda) superano spesso le 13 ore giornaliere e gli autisti si trovano a dover affrontare ripetute pause), per lo più lunghe, nei piazzali della Provincia, spesso privi anche dei servizi igienici. Non solo ma, a fronte di un’emergenza che ormai è diventata strutturale, non vi è nemmeno certezza di quali corse dovranno svolgere, in quale parte della Provincia. E così può capitare che dalla Val Belluna si venga chiamati a coprire le corse di Arabba, in pieno inverno, perché mancano autisti. Peccato che ad Arabba gli autisti ci fossero e che, vista l’incertezza e il futuro nebbioso, abbiano deciso di cambiare lavoro. Fino a pochi anni fa l’autista era un’istituzione per quella vallata, per quella frazione. Conosceva i passeggeri, sapeva le tratte, svolgeva una funzione simile, per certi versi, al vecchio postino, al medico. Oggi non è più così. Si tratta di “uno che guida”, che oggi c’è e domani non si sa. Si tratta di “uno che magari arriva anche in ritardo”, da insultare, da non rispettare e magari anche da prendere a schiaffi. Il covid non ha fatto altro che porsi da cartina di tornasole di una situazione che già da tempo era compromessa. In questi due mesi si è ripartiti con il taglio delle corse. Niente di più sbagliato: nel momento di crisi bisogna rilanciare il servizio, non chiudersi a riccio. Ma se questa scelta è fallimentare per gli utenti, lo è ancora prima per gli autisti: ogni linea tagliata rischia infatti di “svuotare” il turno, di togliere preziosi minuti di guida ai lavoratori. Ogni taglio di corsa comporta un taglia cuci dei turni con conseguenze spesso disastrose sulle condizioni di vita e di lavoro degli autisti. Adesso agli autisti sono state sospese le ferie, o meglio, non vengono date le garanzie perché possano goderle. Siamo in tempi di emergenza, signori. E poco importa se l’emergenza è nata ormai una decina di anni fa, se si è silenziosamente alimentata, è cresciuta mentre ostinatamente Istituzioni e azienda giravano la testa dall’altra parte, che tanto di autisti se ne sarebbero sempre trovati. Oggi il Covid l’ha portata alla luce, brillante come la stella dell’albero di Natale, talmente alta che non si trovano soluzioni. Serve un nuovo patto per il territorio, serve ripartire con un vero confronto dove all’autista non venga chiesta la vocazione (De Andrè la vocazione la affidava ad altri mestieri) ma rispetto del lavoro. Il lavoro di qualità va remunerato, va remunerato in maniera corretta. Il lavoro di qualità va rispettato, garantendo una costruzione di turni sostenibile, garantendo una reale conciliazione vita lavoro. Il lavoro di qualità va riconosciuto e fidelizzato, non lasciato andare che “tanto arriverà qualcuno”. Nel frattempo chiediamo il rispetto per gli autisti, non accetteremo che si scarichi responsabilità che arrivano per da più lontano e da un tempo precedente al Covid.