di RENATO BONA
FALCADE Ci occupiamo oggi di due capitoli: “Il turismo” e “S. Pelegrin” del libro “Quando a Falcade la meridiana segnava il tempo” di Bepi Pellegrinon, edito dal Comune col contributo dell’allora Cassa di risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, in occasione della mostra fotografica dell’estate 1982 “Falcade com’era”. Introducendo l’album di immagini che spaziano dal 1890 al 1930, l’autore evidenziava, riferendosi alle montagne che cingono la vallata, come fosse immutato l’ambiente mentre “Il fondovalle si è rapidamente modificato e da zona prettamente agricola si è trasformato in gran parte in zona di insediamenti e servizi turistici”. Con la gente stessa che si è modificata perché “è passata da un modo di vivere tradizionale nel quale i mutamenti erano lentissimi e quasi non si potevano intravvedere ad un periodo molto più veloce, quasi convulso, in cui i costumi e le abitudini si modificano con estrema rapidità” . E se oggi Falcade è un importante centro turistico che accoglie ed ospita moltissimi forestieri che la scelgono per villeggiare, ammirare luoghi stupendi e vivere in un ambiente di serenità, è perché “Pochi altri abitanti delle montagne hanno saputo tanto rapidamente adeguarsi al mutare dei tempi, passando da una situazione secolare di stasi ad una situazione di dinamica ed hanno intravvisto in modo individuale più che collettivo che il futuro si presentava loro meno sfavorevole e con maggiore possibilità di riuscita”. Ed emerge in tal modo, dal confronto tra Falcade come era e come è “l’intelligenza e la capacitò di questa gente non solo ad adattarsi agli eventi, ma modificarli nel limite del possibile a proprio vantaggio e per le proprie fortune”. Gente alla quale – scriveva ancora Pellegrinon – va dato altissimo merito essendosi scrollata di dosso le vecchie antiche abitudini ed i vecchi antichi bisogni, con una nuova mentalità che ha assicurato il miglioramento del tenore di vita proprio e dei propri figli tanto che ora “si guarda al futuro con minor ansia e con maggiore sicurezza”. Ed ora, i commenti alla sequenza di fotografie che qui riproduciamo nell’ordine proposto dal libro. TURISMO: 1894: la contessa Piatti con accompagnatori alla Forcella del Negher nella catena delle Cime dell’Auta dove gli alpini furono i pionieri del turismo; 1907: al rifugio del Mulàz, appena sorto ad iniziativa della sezione veneziana del Cai, posano alcuni dei promotori ed esecutori dell’opera: Abramo Murer Ravère, Margherita Murer, Agostino Murer Bàda, la guida canalina Giovanni De Dorigo Fumàs, il presidente del Cai veneziano Giovanni Arduini ed il “padre” del turismo falcadino, Emanuele Murer Fòca; 1910: l’industria alberghiera si afferma a Falcade con la costruzione dell’albergo Focobon al Rifugio Mulàz, fabbricato nel 1900 da Emanuele Murer; il nuovo fabbricato rappresenta il necessario biglietto per visita per una località che per sfruttare le bellezze naturali circostanti intende aprirsi ai forestieri; 1931:la tradizionale ospitalità si esprime in questo quadretto in cui si allineano, accanto a due clienti ed allo chef di cucina che campeggia nel centro, il personale di servizio ed i proprietari dell’Albergo Falcade; si riconoscono: Lucia Ganz, Carmela Ganz, Catarinola Serafini, Ernesta Scola, i coniugi Maria ed Augusto Bez con in braccio la figlia Norma; 1930: i fratelli Gilberto, Isabella, Davide e Sisto Serafini Mat, si deliziano incravattati con gli sci sulle nevi di Falcade: non prevedevano certamente che tale sport sarebbe divenuto mezzo secolo più tardi il cavallo trainante dell’economi turistica invernale delle zone di montagna. “S. PELEGRIN”: 1908: il vecchio confine ai Zinghen Bas. Fino al 1787 frontiera fra la Repubblica Veneta, il Principato di Trento ed il Vescovado di Bressanone, dopo il 1866 fra il Regno d’Italia e l’Impero Asburgico. Oltre ai cippi, due pali dipinti, uno col tricolore, l’altro col giallo e nero, suscitavano negli animi dei nostri avi un sentimento di attaccamento alla Patria e di ostilità nei confronti dell’Impero di Checco Beppe; 1908: il 13 giugno, ricorrenza di S. Antonio, i valligiani del Biois accorrevano numerosi in processione al passo di San Pellegrino ove, secondo un’antica usanza, il “priore” dell’Ospizio, distribuiva gratis a tutti un piatto di minestra di fave; 1880 circa: rara immagine del vecchio Ospizio e della Chiesetta di San Pellegrino, dovuta all’impareggiabile fotografo trentino Giovanni Battista Unterweger; l’Ospizio, eretto nel 1358, allo scopo di garantire sicurezza ed un certo conforto al transito sempre più frequente per ragioni di commercio, venne distrutto dagli austriaci assieme alla chiesetta, all’inizio del primo conflitto mondiale; sui lati est e sud della Chiesa si trovava anche un piccolo e malandato cimitero; 1909: l’ala nuova dell’Ospizio di San Pellegrino funzionava come “albergo” con tre camere “ad uso osteria” ed era naturalmente gestito dal “priore”; la parte vecchia comprendeva invece lo stabbio e la stalla nonché alcune camere la cui dislocazione faceva pensare a celle dei frati; 1909: la famiglia di Giuseppe Wolcan, detto Gaiosta; l’intraprendente moenese era stato “priore” dell’Ospizio ed aveva ritenuto maturi i tempi per un nuovo albergo sul Passo; sorgerà così il “Monzoni”, che inizialmente sarà aperto soltanto durante la stagione estiva; 1909: giovani falcadini saliti al Passo incontro agli operai che rientrano da Bolzano dopo una stagione di lavoro; è riconoscibile Costante De Pellegrin Morèl; 1909: mentre le crode soprastanti si specchiano nelle acque opaline del laghetto di San Pellegrino, una gita in barca è una piacevole fuga nell’assorto silenzio della natura; 1912: i nostri avi erano, per necessità anzitutto, per amore del rischio, per rivalsa contro un potere che non li rappresentava ma li soggiogava, quasi tutti contrabbandieri; la “bricola” era un arnese da tenere nascosto, ma sempre a portata di mano, poiché il buon esito di una spedizione oltre confine poteva garantire la sopravvivenza della famiglia anche per lungo tempo: pietre focaie, tabacco, zucchero, sale, spezie rifornivano le rivendite del monopolio e dei privati, arricchendo gli ostio e garantivano il viaggio di primavera degli emigranti; regina delle contrabbandiere era la Gigia Malora, una donna dalla forza erculea e dall’astuzia inesauribile, sempre alla ricerca di nuovi stratagemmi per sfuggire alle maglie della finanza…