VENEZIA “Io non sono un medico e tanto meno un infettivologo, ma sono disposto a scommettere che il contagio da coronavirus non si ferma al confine tra due regioni”.
Ironizza così l’assessore al turismo del Veneto sulla paradossale situazione venutasi a creare nelle zone sciistiche delle Dolomiti nei cui impianti di risalita, in applicazione dei decreti finalizzati a contenere i contagi da coronavirus, si dovrebbe limitare a un terzo l’accesso delle persone a funivie, cabinovie e funicolari: una misura rispettata nel Veneto e invece solo parzialmente osservata nel Trentino Alto Adige, creando una disparità che sta creando disagi ai turisti e irritazione tra gli operatori.
“Un’ironia amara la mia – prosegue l’assessore – perché c’è ben poco da divertirsi assistendo a queste assurde sperequazioni, quasi non fossimo un unico Paese con le medesime regole da rispettare. Se si ritiene indispensabile per la tutela della salute ridurre il numero delle persone che accedono alle cabine degli impianti, è doveroso che questo principio di precauzione sia adottato obbligatoriamente da tutti e non solo da qualcuno. Se invece tale limitazione si deve interpretare come facoltativa e volontaria, ebbene, sia così per chiunque. In tal senso chiederò spiegazioni con una lettera al Governo e alle autorità preposte ad affrontare questa emergenza”.
“E’ l’immagine turistica di tutte le Dolomiti a uscirne ferita se non si trova un coordinamento e non si adotta un’azione univoca tra le varie componenti del settore, indipendentemente dai confini amministrativi – continua l’assessore –. Basti pensare a chi in questi giorni percorre i noti ski tour dolomitici, come il Sellaronda o il Giro della Grande Guerra, che per salire nelle funivie e cabinovie del Veneto è costretto a lunghe file, mentre negli impianti dell’Alto Adige o del Trentino si accalca in cabine affollate come prima dell’emergenza: insomma, non ci stiamo certo facendo una bella figura. Nessuno”.