di RENATO BONA
Dopo scolaresche e coscritti, e prima di emigranti, ci occupiamo col presente servizio di soldati, “leggendo” qui, per tutti, il prezioso volume “Selva di Cadore come era” (Selva da nosakàn, in ladino) realizzato nel novembre 1993 per l’Union de i Ladiñ de Selva” dal prof. don Lorenzo Dell’Andrea, nativo proprio di Selva di Cadore, il quale da dato seguito all’impegno assunto dall’Union dopo la mostra di vecchie fotografie di paesaggi, case e persone del paese, dell’agosto 1985, e più che raddoppiando le immagini, passate dalle 162 dell’esposizione alle quasi 400 del volume, stampato dalla bellunese tipografia Piave. L’autore ricorda fatti eccezionali come le frequenti guerre nei primi cinquant’anni del secolo (guerra d’Eritrea del 1896, di Libia del 1911, prima grande guerra mondiale dal 1915 al 1918, guerra d’Etiopia 1935-36, seconda grande guerra mondiale 1940-45) per sottolineare che “Allora gli uomini dovevano abbandonare il lavoro; le difficoltà in paese crescevano, donne, bambini e vecchi dovevano sobbarcarsi una mole eccezionale di lavoro per mantenere a un livello buono l’economia locale. Senza dire dei lutti, numerosi e dolorosi, che colpivano tante famiglie a causa dei loro congiunti caduti o dispersi su tutti i fronti d’Europa o nei campi di concentramento”. Un problema sempre grave – annota ancora – era la fame. A Selva, rispetto ad altre popolazioni delle vallate vicine, la gente stava abbastanza bene; tant’è vero che a tutte le case bussavano continuamente mendicanti provenienti dai paesi vicini, particolarmente dall’Agordino, ma anche da più lontano, per chiedere la carità di un po’ di patate o di qualche fava”. Evidenzia quindi che “a onore della gente di Selva, pure essa povera, nessuno rifiutava mai di dare ‘n puñ de faa’ a chi stava peggio”. Comunque, se non c’era miseria, la popolazione viveva in grandi ristrettezze, soprattutto dopo la cessazione delle attività collegate allo sfruttamento delle miniere: la sola attività agro-silvo-pastorale non era infatti sufficiente a mantenere tutta la popolazione. E non va trascurato che nonostante la grande mortalità infantile, la popolazione registrava un saldo demografico attivo: nel 1638 risulta che gli abitanti di Selva erano 1.001, nel 1723 erano saliti a 1.135 e a ben 1300 unità nel 1880. Dunque la cessazione di attività lavorative, la crescita della popolazione ed il frequente andamento negativo dei raccolti costrinsero moti compaesani ad emigrare (proprio questo fenomeno sarà l’oggetto di un prossimo nostro servizio – ndr.). Ed ecco, di seguito, una serie di immagini riferite ai soldati di Selva di Cadore. La prima (raccolta Amelio Monico) propone; “Selvani in divisa militare a servizio della Patria. Da sinistra: Pietro Lorenzini ‘de i Bròsa’, Giovanni Monico ‘de i Zampéla’, Attilio De Mattia; seduto Luigi Nicolai (1877-1961)”. Quindi immagini singole: Ernesto Callegari ‘de i Armanda’ (1890-1961) con il cappello d’alpino e le tradizionali fasce alle gambe (raccolta Maria Grazia Callegari); poi Fedele Dell’Andrea (1891-1932) in divisa d’alpino (raccolta Maria Dell’Andrea Nicolai); ancora: “Un compaesano (probabilmente Giacomo De Filippo) a servizio della Patria (raccolta Filippo De Filippo) e quindi: Severino Zuliani (1883-1970) in divisa. Erano molti coloro che sceglievano il servizio permanente nell’Arma dei carabinieri e talora anche nella Finanza, Era una scelta che permetteva di avere un lavoro sicuro e una posizione sociale tenuta in molta considerazione (raccolta Remo Martini). Di nuovo un gruppo: da sinistra, in piedi: Carlo Martini ‘de i Fioréc’ (1866-1971), Primo Torre ‘Pino dei Riz’ (1887-1957), Ettore Monico; seduti: Gioele Torre, Riccardo Dall’Acqua ‘Garibaldi’ 1887-1961, (raccolta Antonio Torre). Altre foto singole (raccolte di Raffaella Dell’Andrea, Maria Lorenzini, Maria Grazia Callegari, Maria Nicolai, Maria Dell’Andrea) ci mostrano, nell’ordine: Amedeo Lorenzini in divisa d’alpino; Luciano Cazzetta, fiero della sua divisa; Fedele Dell’Andrea, alpino; Antonio Nicolai ‘de i Sek’ (1867-1944) con la divisa dei carabinieri; Felice Dell’Andrea ‘de ki de Vinzénz’, in divisa e col toscano in mano; Angelo Lorenzini (1916-1988). Quindi un terzetto (raccolta Maria Lorenzini) con Pietro Martini ‘de i Fiorèc’ (1880-1970) a sinistra, con Amedeo Lorenzini (1890-1943) ed Ernesto Callegari (1890-1961). Ed un poker (stessa raccolta) con gli alpini: Omero Nicolai, Luigi Rudatis, Pietro Lorenzini (“morto in Russia dove la sua sepoltura è stata di recente ritrovata”) e Dino Callegari. Un altro gruppo (raccolta Jole Lorenzini Monico) propone: Enrico Dall’Acqua ‘Iko de i Skotai) 1894-1979, il secondo da sinistra in alto con accanto il fuciliere Gerardo Dall’Acqua (1892-1975), suo fratello; ultimo a destra: Amedeo Lorenzini. Tocca ora (raccolta Maria Lorenzini) ad Angelo Lorenzini, al centro, con due commilitoni. Poi è la volta di un folto gruppo che comprende militari e civili (raccolta Tullio Da Rech): questa la didascalia proposta da Dell’Andrea: “Un gruppo di compaesani davanti al monumento ai Caduti nel 1941, da sinistra: Ettore Zuliani, Luciano Lorenzini, Davide Lorenzini, Ettore Buogo, Antonio Lorenzini, Luigi Nicolai, Vittorio De Filippo, Enrico Nicolai, Angelo Lorenzini, Adolfo Dell’Andrea, Attilio Torre, dott. Antonio Bressan, Pietro Martini, Vito Nicolai, Romolo De Pin, Antenore Buogo, Cirillo De Mattia, Angelo Callegari, Marcello Torre, Giovanni Angeli, Amelio Monico, Giovanni Bonifacio, Evaristo Dell’Andrea. Ci avviamo a conclusione con le ultime tre immagini. La prima (raccolta Angelo Dell’Andrea) spiega: “Le caratteristiche fasce potevano sembrare eleganti se avvolte bene, ma non erano per nulla pratiche. Eppure compaesani e giovani di tutta Italia hanno dovuto portarle, in tempo di pace e di guerra, non solo sulle Alpi, ma anche sulle Ambe dell’Etiopia, nei deserti della Libia, nelle steppe della Russia. Portavano quella divisa con onore ed eroismo. Anche se resta sempre vera, per la prima guerra mondiale e per ogni guerra, la frase di Papa Benedetto XV: la guerra è una inutile strage”. C’è poi l’immagine di Leonardo Chizzolin ‘Leone’ (1892-1965) in divisa, spedita l’11 luglio 1913. Da ultimo quella che porta questa dicitura: “Chi è? Un compagno o un ‘forest’? Non è facile dirlo. E’ il problema davanti al quale ci si trova spesso con le vecchie fotografie: di chi sono quei volti? Quando e in quali circostanze sono state scattate? Piacerebbe avere sempre una risposta sicura, perché si tratta di ‘persone’, non di ‘numeri’ o di ‘oggetti’. Di ‘persone’ con una loro precisa individualità, con un cuore e un’anima, con una propria storia, con una ricchezza e una forza interiore personali. Sarebbe molto bello se anche noi potessimo fare come Dio, ‘che ci conosce individualmente e chiama ognuno di noi per nome’”.