di RENATO BONA
Concludiamo con questo servizio la tappa del “viaggio” alla scoperta della località I Stua, in Val del Mis, guidati dal libro intitolato: “Una storia, tante storie”, curato per La Biblioteca civica di Sospirolo, l’associazione pro loco “Monti del Sole” ed il Parco nazionale Dolomiti Bellunesi, dalla benemerita Pieranna Casanova con varie preziose collaborazioni. Una curiosità: ricordando che i funerali per la gente de I Stua erano celebrati nella Parrocchia di Tiser, dove i morti venivano sepolti, portati a spalla, a piedi, con grandi difficoltà, soprattutto se la morte sopraggiungeva con il freddo e con il brutto tempo, Casanova richiama la figura di Pietro Paganin che “ebbe la sfortuna e non solo per se stesso, di morire durante l’inverno del 1909, in un periodo in cui era caduta parecchia neve, e i famigliari lo tennero per molti giorni in soffitta prima di poterlo seppellire nel cimitero di Tiser”. E fa scrivere all’autrice del libro che: “Il morire, al pari del nascere era davvero un’impresa difficile nel Canal del Mis. Durante il periodo del lutto i famigliari continuavano a indossare quello che avevano perché non potevano permettersi spese. Le donne, se potevano, si vestivano di nero e continuavano a farlo anche per tutta la vita. Gli uomini mettevano al bavero della giacca o sulla manica una fettuccia nera o infilavano un particolare grosso bottone nero in un occhiello. In situazioni di lutto e di sofferenza si esprimeva tutta la solidarietà della gente del Canale”. Le difficili situazioni ambientali facevano sì che ogni famiglia dipendesse dalle altre e ciò suscitava immediati, spontanei gesti di aiuto e condivisione sia in caso di disgrazie che in quello di lavori particolarmente impegnativi. In casa di una persona ammalata non si acquistavano per lungo tempo generi alimentari tipo zucchero, burro, caffè… “perché portati come dono dalle numerose persone che andavano in visita”. Un caso eccezionale quello che riguardò Ettore Casanova: colpito dalla lebbra, la Banda di Sospirolo salì fino a Gena Alta a suonare per lui! Poco lontano dalla casa de I Stua, i Paganin esercitarono il loro ingegno costruendo un mulino ad acqua che attivava la mola per affilare gli attrezzi, la macina per fare farina da polenta, la segheria con una “veneziana” (sega alternativa) ed una sega a nastro, la fucina in cui venivano lavorati i metalli. Oltre a questo, funzionava una centralina per la corrente elettrica prodotta a partire dal 1922. Il tutto veniva azionato da una turbina idraulica utilizzando l’acqua del Rui Bianch incanalata in parte in una condotta forzata. Punto di sosta per gli uomini che si addentravano nella parte più stretta del Canale era l’osteria, seconda tappa dopo l’Hotel di Gena Bassa e prima dell’Osteria de I Scalét. Pieranna Casanova non trascura di ricordare che la vita a I Stua si fermò con il nubifragio del 4 novembre 1966. La gente si era rifugiata sotto le crode della montagna dalla quale peraltro cadevano sassi pericolosi tanto da convincerla a tornarsene a casa dove, cessati pioggia e vento, dovette assistere al terribile spettacolo del Mis in piena che trasportava i tetti delle case di California. I soccorsi arrivarono dopo qualche giorno e così fu possibile fra l’altro caricare su una lettiga Maria De Donà, anziana e malata. Solo a dicembre i Paganin tornarono a I Stua e “impiegarono una giornata intera a portar via le loro auto, passando sul ‘tetto di ghiaia’ abbandonata dal Mis e attraversando in più punti il torrente su ponti improvvisati con alcune tavole”. Rammenta poi che I Stua era l’ultima località abitata del lungo tratto di Canale serrato dalle montagne,. tra rocce altissime e strapiombanti, animato solo dalle impetuose acque del torrente Mis. Prima del 1919, cioè della nuova strada, attraversare il Canale per raggiungere la parte alta della Val del Mis era “un’impresa davvero coraggiosa, possibile in alcuni punti solo a piedi, una persona alla volta”. Ed il passaggio più difficile era nella gola dei Serrai dove si restringeva riducendo il fondovalle ad una decina di metri di larghezza…”
. NELLE FOTO (riproduzioni dal libro di Pieranna Casanova “Una storia, tante storie. La vita e la gente del Canal del Mis): fermata della corriera a I Stua, anni ‘50, dove vediamo Iole Ciet (a sinistra) e Mariuccia Redi; Graziella (a sinistra) e Luigina Moretti all’Osteria de I Stua, anni ‘60; cresimati (sorelle Moretti) e padrini a I Stua, da sinistra: Stefano e Carlotta Casanova (con Luigina, Antonia dal Peron con Germana, Maria Case con Graziella, anni ‘50; Germano (a sinistra) e Cesare Moretti al capitello di Sant’Antonio a I Stua, primi anni ‘60; Erminia (a sinistra) e Alfonsina, figlie di Luigi Paganin, fine anni ‘50; alluvione del 4 novembre 1966: salvataggio di Maria De Donà a I Stue; la sega “veneziana” ormai in rovina a I Stue, anni ‘80; altro momento del salvataggio della De Donà da I Stua verso I Pissa; ancora operazioni di soccorso; uomini all’Osteria de I Stua; immagini de i Serrai e ponticelli in legno per l’attraversamento del Mis nel 1919; il confine di Stato tra il Regno d’Italia e l’Impero Austro-Ungarico vicino a California: è l’anno 1919.