“Non sappiamo se il test “sierologico” sia migliore del test “antigenico”, o se ci sia un’ulteriore alternativa. Ma fino a che nessuno ci spiega le ragioni di quello che sta accadendo nelle nostre case di riposo, come facciamo a non porci queste domande?”
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BELLUNO “Ormai la diffusione del virus nelle strutture residenziali della provincia è un fiume in piena, e riguarda la maggioranza delle case di riposo. Quello che colpisce maggiormente è il numero cospicuo di casi che si vengono a verificare, sia tra gli ospiti, sia tra i lavoratori, e questo veramente non riusciamo a comprenderlo”. Inizia con questo preoccupante tono l’ultimo messaggio di Andrea FIocco, della Funzione Pubblica Cgil, al “fronte” la scora primavera, tra i lavoratori e gli ospiti delle case di risposo in questa seconda ondata. Nella prima c’era stato un interessamento massiccio delle strutture del basso bellunese, da Puos fino ad Alano, ma solo alcune avevano registrato svariati casi. Nella seconda era atteso un interessamento più del Cadore e dell’Ampezzano, come inizialmente si è verificato, con i casi di Pieve di Cadore e di Cortina (e poi Auronzo e Santo Stefano), visto l’iniziale focolaio del Comelico, ma poi la diffusione a valle, con le positività di Ponte nelle Alpi, prima, e Limana, Meano e Cavarzano a seguire, fanno perdere il filo logico dell’onda, emergendo come una mappa a macchia di leopardo. “Ma quello che più di tutto impressiona – dice Fiocco – è la quantità di casi, che a marzo-aprile non si era vista, e che impegna tantissimo chi lavora nelle strutture, anche perché molti, come detto, sono anche i lavoratori coinvolti, e questo grava ancor più su coloro che rimangono in servizio”.
Un’operatrice socio-sanitaria di una struttura che nella prima ondata aveva evitato contagi, oggi si trova in una delle aziende più colpite, e dice “fino a che non sei dentro al problema non riesci a immaginarlo… è un incubo… mi sembra di vivere in un film di fantascienza, invece è realtà”.
Eppure si immaginava che la seconda ondata sarebbe stata affrontata con maggior prontezza, vista l’esperienza accumulata, vista la prudenza con cui si sono governate le visite parenti nel periodo di riapertura, e visto che i 5 mesi di “tregua” hanno permesso l’approvvigionamento dei dispositivi di protezione. “E invece – precisa il rappresentante della FPCGIL – le case di riposo sono molto più colpite. Allora ci si chiede: cosa è cambiato rispetto alla prima ondata? Certo non sono cambiate le abitudini dei lavoratori, che sicuramente sono più consapevoli di allora. Le strutture erano più preparate. Un pensiero va, ovviamente, alla virulenza del Covid, ma non ci sembra di cogliere, tra le righe degli interventi degli esperti, una grande convinzione nel sostenere che il virus oggi sia più “cattivo” di quanto non lo fosse a primavera”.
E allora?
“L’unica spiegazione sta nei test, nella loro attendibilità. Oggi si fanno molti più
tamponi che non all’inizio della pandemia, ma gli anziani delle case di riposo passano preliminarmente per il cosiddetto “test rapido” (il test antigenico), che, a detta di molti, ha le maglie un po’ larghe. Quello che preoccupa maggiormente è la percentuale di falsi negativi che sono quelli che, trascurati, diventano a loro
volta “diffusori” del virus. A marzo-aprile si utilizzava invece il test “sierologico”, e anche su di esso si ragionava su quanti falsi negativi o positivi ci fossero. Ma non ci sono stati, allora, così tanti casi. Sappiamo che si tratta di test sostanzialmente diversi, ma nessuno ci ha ancora spiegato perché sia migliore uno dell’altro. Non può essere solo la rapidità dell’esito a far prevalere un tipo di indagine su un altro.
Visto che l’attendibilità accertata è quella del test molecolare, o si ragiona sul fatto di fare lo screening degli ospiti e dei lavoratori solo con esso, oppure si ragiona su quale test di screening alternativo sia meglio lavorare, perché i dati sono sconcertanti. Il fatto è che, per riuscire a fare screening con il tampone molecolare agli anziani, bisogna rivedere lo screening di massa che sta facendo l’Ulss sulla popolazione, perché l’Ulss ha risorse umane limitate, e non può rispondere a tutto se non allungando i tempi di risposta”.