di RENATO BONA
RIVAMONTE Si apre con l’affermazione; “Riva, un paese, una storia, folklore, tradizione, lavoro, emigrazione di gente forte e laboriosa” la rassegna di 66 fotografie dal 1888 al 1950 selezionate e riprodotte da Giuliano Laveder, con testo di Raffaello Vergani, proposte da Nuovi Sentieri editore di Bepi Pellegrinon (stampa della trevigiana Litografia Antiga di Cornuda) a cura del Comune di Rivamonte Agordino con il contributo della Parrocchia e dell’Azienda autonoma soggiorno e turismo Conca Agordina, in occasione della mostra fotografica “Riva de na olta” dell’estate 1983. In precedenza, Vergani ci ricorda che “Le prime notizie di Riva risalgono intorno al 1200: si tratta sicuramente, allora, di una piccolissima comunità dedita, come tante altre nelle Alpi venete, alla magra agricoltura di montagna, alla pastorizia e ai lavori di bosco”. Probabilmente, spiega, nel primo decennio del ‘400 ha inizio lo sfruttamento minerario di Valle Imperina, situata ai piedi del Monte Armarolo e quindi al di sotto dei vari nuclei abitati che compongono il paese. Precisa quindi che: “Per quasi due secoli, tuttavia, i rapporti tra Riva e le miniere non saranno particolarmente stretti. I concessionari e gli imprenditori sono inizialmente tedeschi, poi affiancati e quindi sostituiti gradualmente da veneziani, bellunesi, agordini. La mano d’opera specializzata (i canopi) è pure tedesca; i lavoratori locali devono essere pochissimi, e impiegati per di più nelle mansioni meno qualificate; solo nella seconda metà del ‘500 sembra di avvertire una incipiente maggior presenza tra i lavoratori di personale agordino. La produzione, oltretutto – rame, vetriolo e un po’ d’argento – anche se importante nel quadro della Repubblica veneta, è modesta in assoluto”. E veniamo al ‘600 nel corso del quale in relazione al grande impulso dato ai lavori minerari e metallurgici prima dalla famiglia Crotta e poi anche dalla Repubblica, “si configura un rapporto di interdipendenza e quasi e quasi di identità tra il paese di Riva e le attività che si svolgono in Valle Imperina. La popolazione di Riva, che ammonta nel 1584 a circa 150 Abitanti, balza nel 1701 a ben 937 abitanti”. Per Raffaello Vergani “E’ chiaro che deve esserci stato non solo un forte incremento demografico in sede locale, ma anche una consistente immigrazione dall’esterno. Quasi tutti i maschi in età di lavoro sono impiegati nelle miniere e nelle fucine di Valle Imperina. La Repubblica Veneta esenta la comunità da una serie di tasse per dimostrare il proprio interesse alla produzione mineraria e in particolare solleva i lavoranti dalle ‘angarie’, pesanti obblighi di lavoro imposti per legge in favore della città e degli uffici pubblici”. E così “Nel 1766, su 347 uomini di età compresa tra i 14 e i 60 anni, ben 316 sono occupati nell’estrazi one del minerale e nella sua trasformazione in rame, vetriolo e zolfo in Valle Imperina. Certo continuano, accanto a queste, anche le attività tradizionali. Quasi ogni famiglia di Riva, oltre a una casa d’abitazione sia pur modesta, possiede un piccolo o piccolissimo appezzamento di terreno che coltiva direttamente: soprattutto a granturco, a fagioli, a ortaggi. Moltissime famiglie possiedono una o più vacche, il cui latte viene consumato direttamente, o lavorato in casa o in malga per produrre burro, ricotta, formaggi. Ogni famiglie, infine, ha in uso una porzione di prato-pascolo e di bosco che utilizza rispettivamente per nutrire gli animali e per provvedersi di legna da fuoco e di legname da costruzione. E chi svolge queste attività? Le donne soprattutto, ma poi anche i vecchi e i bambini (non è mai troppo presto né troppo tardi per lavorare , nella montagna d’un tempo), oltre che gli uomini quando non sono in miniera o in fucina”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro”Riva de na òlta): dall’alto del colle vigilano su tutti San Frian e Sant’Antoni; inizio anni ’30: è sorta la casa della Società operaia, col tempo ci sarà anche una carrozzabile di rispetto; 1888: Giovanni Fossen approda in Primiero per farsi fotografare coi figli Tita e Ana e il nipote Giani; Giuseppe Tazzer con la famiglia a Le Miotte, siamo nel 1900; la Gisa e la Maria de la Dil; i fratelli Zanin: Pietro, Caterina, Giacomo e Luigi ripresi nel 1907; anno 1910: la famiglia di Matteo Mottes; scolaresca delle elementari dei Tòs del 1914; Tiser 1915: coscritti del 1894-5 di Riva e Tiser; la famiglia dei Marengòi: Pietro Fadigà e Anna Fossen con figli e nipoti; la maestra Orestilla guarda pensosa al suo futuro di educatrice… ; donne di servizio “capòzole” da Riva a Milano nel 1917 in uno degli abituali ritrovi domenicali; coscritti del 1899 fotografati ventenni; scolari (dalla prima alla quarta) delle scuole dei Tòs nel 1919 con la maestra genovese Lupi.