la figura del medico feltrino Odoardi che studiò la pellagra
BELLUNO Pellagra, nel Bellunese nota anche come “pellarina”. E’ la malattia che colpisce chi si ciba quasi esclusivamente di polenta, come i braccianti dei campi, tanto da riconoscere il connubio pellagra-miseria e vedersi appioppare il nome di “male della miseria rurale”. Facendo ricerche telematiche e consultando varie altre fonti, abbiamo appreso che se ne occupò, nel Settecento, il medico feltrino Jacopo Odoardi al quale, non a caso, la città di Feltre ha dedicato una piazzetta. Vediamo dunque di conoscere il personaggio. Jacopo venne alla luce a Feltre nel 1725 – si può leggere nel prezioso libro “90 profili di personaggi poco noti di una provincia da scoprire”, di Paolo Conte e Marco Perale, edito da L’Amico del Popolo nel 1999 e stampato dalla bellunese Tipografia Piave – in una famiglia di origine padovana che da tempo aveva una farmacia in via Mezzaterra”. Ancora: “Poco sappiamo degli anni della formazione scolastica avvenuta nella città natale, formazione che comunque gli permise di iscriversi alla facoltà di medicina a Padova. In questo ateneo, tra i docenti ebbe anche il professore Antonio Pujati che era stato medico primario a Feltre negli anni 1743-1754. Nella città universitaria frequentò gli ambienti scientifici e letterari divenendo noto al punto che nel 1746 fu associato alla locale Accademia dei ‘Ricoverati’. Ottenuta la laurea, Jacopo riprese la via di casa e, risiedendo a Feltre, si diede alla medicina pratica e ad altre ricerche. Ad esempio si interessò delle malattie del bestiame, di geologia e botanica del territorio feltrino, di toponomastica… Negli anni 1755, ’58, ’63 pubblica raccolte di rime edite per matrimoni o commiati di personaggi importanti”. E siamo al 1765 quando, vinto il concorso a primario, si trasferì a Belluno con la moglie Rosa Alpago Novello la quale gli dette i due figli Lorenzo e Giuseppe. Evidentemente stimato, fu ammesso nell’Accademia degli Anistamici i cui soci presentavano pubblicamente le loro ricerche poi date alle stampe. Il nostro lo fece nel 1764 quando parlò su: “Del rivivere che talor fanno gli annegati” e in seguito “Delle macchie del feto dette comunemente voglie” e, nel 1772, “Della cura di una Squinanzia (mal di gola) maligna del bestiame, del Cancro volante e del Vaiolo”. Cinque anni prima aveva dato alle stampe a Venezia “De’ corpi marini che nel feltrese distretto si trovano”, dedicata ai fossili del luogo, pubblicazione che evidenziava come stesse sempre più orientandosi verso la medicina veterinaria “che muoveva i primi passi dopo che il medico francese Claude Bourgelat aveva fondato a Lione la prima scuola. Tramite lo stampatore bellunese Tissi, Odoardi annunciò che avrebbe tradotto in italiano le opere del collega che le aveva stampate a Parigi nel 1769. Il 18 luglio del 1776 ad una seduta degli Anistamici, tenne una relazione sul tema: “D’una specie particolare di scorbuto” cioè sulla pellagra, relazione che, dedicata a Pujati al quale riconobbe il merito di avere iniziato lo studio della pellagra quando era a Feltre, e descrivendo la storia, spiegava come si manifestassero i sintomi, esaminandone le cause e proponendo i rimedi. Il 15 aprile 1784 – è scritto in “90 Profili” – “chiuse a Belluno la sua vita operosa consegnando alla storia della medicina scoperte e scritti importanti”. Il primo medico italiano che descrive la malattia è Francesco Frapolli, dell’ospedale Maggiore di Milano, nell’opuscolo “Animadversiones in morbum vulgo pellagram” edito a Milano, 1771. Ma se ne interessa anche l’arte se è vero che nel 1799 Goya (Francisco José de Goya y Lucientes) pubblica una serie di acquaforti chiamate “Los Caprichos”, la n.12 è “A caza de dientes”. Mentre la Biblioteca civica di Belluno nel sito m.facebook.com ricorda che se ne occupò anche un altro medico bellunese, infatti annota: “La raccolta ottobrina del grano assicurava al contadino la farina gialla, necessaria per preparare la polenta. Cucinata sul larìn e servita ogni giorno due tre volte in tavola, la polenta era l’alimento base in campagna. Purtroppo l’esagerato uso del grano a scopo alimentare, in una dieta rurale povera di carne e priva delle necessarie proteine, favorì lo sviluppo della pellagra, la malattia della miseria che portava negli esiti finali anche alla demenza. Quanti poveri bellunesi finirono nel manicomio veneziano di S. Servolo a causa della pellagra, nonostante gli studi nel ‘700 di Jacopo Odoardi e a fine ‘800 di Luigi Alpago Novello! A importare il granoturco dal trevigiano fu, nel ‘500, Odorico Piloni, padre dello storico Giorgio, ma a distribuire le sementi ai coloni provvide, nel secolo successivo, Benedetto Miari. Presto il grano soppiantò il frumento diventando la principale fonte di sostentamento. Le sue radici profonde impoverivano il suolo, e dunque, scrive Antonio Bazolle, la pianta del mais ‘conservò sempre la sua qualità di straniera perché essa qui non prospera e non produce, anzi non cresce né vive se non è bene lavorata, o bene concimata’. Bisognava preparare e concimare con cura il terreno: solo così nel 1880, dai campi ben ingrassati si potevano ricavare fino a 26 ettolitri di grano per ettaro, contro una media generale di circa 19”.
NELLE FOTO (riproduzione dal libro “90 profili”; Rete comuni italiani, Google, Libreria Piani): il frontespizio dell’opera più nota di Jacopo Odoardi; la piazzetta che gli è stata intitolata a Feltre; una delle opere di Goya sulle conseguenze della pellagra; la copertina di una risposta del medico feltrino ad un collega; “Riflessioni” di Odoardi.