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La targa al partigiano Corrado “Joe” Costa”, di cui si discute in questi giorni, mi rammenta l’avventura vissuta da mio nonno Giulio Campolongo, arrestato durante il rastrellamento del 19 giugno 1944 (denominato “la notte di Santa Marina”), effettuato a Feltre e Belluno dalla polizia nazista a seguito di un’azione partigiana avvenuta alcuni giorni prima. La cosiddetta “beffa di Baldenich”, durante la quale12 partigiani, travesti da nazisti, riuscirono a far evadere 73 prigionieri politici dal carcere bellunese. Con lui furono arrestate più di quaranta persone tra le più influenti delle città di Belluno e Feltre ed internate presso l’ex Distretto Militare, già Chiesa dei Gesuiti, sulla cui parete dovrebbe essere ricollocata la lapide in oggetto. Tra tutti ricordo don Giulio Gaio (1886 – 1922), che rimase in carcere fino all’ottobre di quell’anno e fu torturato in più occasioni. Dopo la guerra divenne ininterrottamente Arciprete del Santuario dei Santi Vittore e Corona, fino al 1986, giorno del suo 100esimo compleanno. Nella caserma la Gestapo aveva approntato celle e vere e proprie sale di interrogatorio e tortura. Mia madre Carlotta, allora non ancora ventiduenne, si posizionò giorno e notte al di fuori del complesso, nella speranza di poter incontrare un ufficiale tedesco, che in più occasioni le aveva dimostrato un certo interesse. Grazie a questa “amicizia” dopo alcuni giorno di angoscia, Giulio venne rilasciato, uscendo dall’incubo che l’aveva inghiottito. Ma torniamo alla lapide. Oltre 10 anni fa scrissi una lettera ai giornali, dove rimarcavo la convinzione che a distanza di oltre 70 anni, con l’Europa caratterizzata da un progetto di unificazione non solo economica, ma pure e soprattutto culturale e politica, certi approcci ai fatti di guerra e di rappresaglia avrebbero dovuto essere rivisti. Nella fattispecie proponevo che il testo della lapide in oggetto, come altre, ad esempio quella posizionata alla Rossa in memoria dell’eccidio di dieci civili, avvenuto per la rappresaglia nazista il 14 settembre 1944, venisse rivisto, sostituendo il termine “tedesco” con “nazista”. Nulla cambierebbe nella sostanza, ma ci sarebbe un distensione nella opposizione tra Italia e Germania, allora predominante. L’amico Toni Sirena mi fa presente che per legge non si può cambiare il testo che venne a suo tempo accettato per la motivazione. Comunque invito chi può a muoversi in questa direzione. Prometto che se la lapide verrà modificata come nella mia proposta, ne sosterrò le spese.
Tomaso Pettazzi
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