Leggendo l’interessante libro “La città di ghiaccio” guida agli itinerari e al Museo della guerra 1915-18 in Marmolada, di Mario Bartoli, Mario Fornaro e Gianrodolfo Rotasso, che la casa editrice Publilux di Trento ha dato alle stampe nel 1993, ci sono tre capitoli che confermano quanto evidenziato da Bartoli nella sintetica premessa del lavoro collettivo: “… quanto si racconta, senza una cruda progressione cronologica ed in forma semplice e dimessa, è come fu la vita di quegli uomini sulla Marmolada, testimone ostile ed imparziale che custodisce nelle caverne e nelle gallerie l’eco dei lamenti e delle imprecazioni, delle preghiere e delle speranze degli uomini che, sottratti alle loro famiglie ed ai loro affetti più cari, furono mandati lassù a fare la guerra”. Uno di questi uomini è a nostro modesto avviso quello che viene definito fin dal titolo del capitolo che gli è stato dedicato dai tre autori: “Il parroco del ghiacciaio”. Si tratta di padre Martin Matschik, cappellano militare del 1. Battaglione del 3. Reggimento Kaiserschützen, meritevole di una particolare menzione “per l’assistenza affettuosa e coraggiosa che assiduamente diede ai suoi soldati”. Nato nel 1888, fu trasferito al battaglione nell’aprile 1916 per sostituire padre Martin Benedict, travolto da una valanga a Scluderbach il 5 marzo. Per la sua truppa il “nostro” era solito celebrare la messa in una grotta scavata nel ghiacciaio ma spesso si recava a confortare i suoi soldati, sempre esposti al pericolo, fino agli avamposti più lontani, salendo lungo il ghiacciaio. Nel ricordo del sottotenente dei Kaiserschützen, Norbet Gatti il memorabile evento della prima messa che padre Matschik andò a celebrare a Punta Penia il 15 ottobre 1917: “La celebrazione del sacrificio del Figlio del ‘Padre’ su un altare costruito con la neve, sotto il brillante cielo azzurro, sovrastava la casa di Dio nella grandezza di quell’immenso paesaggio di montagna. Alle spalle di questo vero ‘parroco del ghiacciaio’ che celebrava la santa messa a 3.344 metri di quota, assistevano con devozione solo i sei uomini di Punta Penia, così com’erano, sporchi e irrigiditi dal freddo intenso e mordente”. E aggiungeva: “In gennaio, salendo lungo la cresta occidentale con 25 gradi sotto zero, padre Matschik venne di nuovo a Punta Penia per visitare i suoi uomini e celebrare la prima santa messa dell’anno. Tutto il battaglione ammirava con fierezza il suo valoroso ‘parroco del ghiaccio’”. Mentre padre Martin Matschik a sua volta ricordava: “Il 1. Battaglione del 3. Reggimento Kaiserschützen visse un anno intero sulla ‘Regina delle Dolomiti’ combattuto dal nemico e dalle avverse forze della natura, sfuggendo al nemico ed alla natura stessa protetto da un labirinto di 12 chilometri di gallerie scavate a mano nel ghiaccio. In questo interminabile periodo e dopo, fino alla fine della guerra, i Kaiserschützen, combattendo contro la natura e il piombo nemico, sono vissuti uniti in cameratesca armonia che, anche dopo il ‘crollo’, non è crollata. Eravamo così tanto legati a questa montagna che il Battaglione al quale tutti noi appartenevamo, lo chiamammo ‘Battaglione Marmolada’. Lontani dalla Marmolada, essa restava nel nostro cuore…”. C’è quindi il capitolo che riferisce di “Un’avventurosa salita con la teleferica in mezzo alla tormenta”, frutto, il testo, delle memorie del tenente Tullio Minghetti, valoroso ufficiale del 7. Alpini ed autore del volume tratto dalla Legione Trentina dal titolo: “I figli dei Monti Pallidi – Vita di guerra di un irredento trentino”: “… L’urlo della tormenta ad un certo punto divenne un vero pauroso boato. Eravamo ormai vicini alle rocce. Le raffiche di tormenta erano violentissime e veramente impressionanti: il carrello continuava a dondolare paurosamente nel vuoto”. Il buon sergente Mazzarol che lo accompagnava “era ancora tutto turbato per l’emozione provata al momento dello scambio dei carrelli e non aveva più voglia di parlare, io ero a mia volta allibito… Il motore per fortuna nostra continuò a funzionare e come Dio volle superammo il primo cavalletto posto proprio sulla sommità del burrone; pochi secondi dopo eravamo alla seconda stazione, letteralmente coperti di neve e ghiaccio. Fummo accolti come veri liberatori dai 13 uomini che abitavano la baracca; feci loro coraggio e poi mangiammo qualche cosa con vera allegria, non pensando certo in quel momento che mi potesse capitare dell’altro…”. Concludiamo con: “La valanga cade sulla baracca della truppa addetta alla teleferica”, sempre dalle memorie di Minghetti di quella tragica notte del 13 dicembre 1916, giorno di Santa Lucia: “… Pochi secondi dopo le 20 uno schianto improvviso rintronò nella baracca e subito si spense la luce. Quasi contemporaneamente mi trovai disteso per terra e mi sentii comprimere forte nella schiena, come schiacciato contro un muro per terra; gli altri 13 si trovavano nella stessa posizione e due erano rimasti feriti… riuscimmo a crearci un po’ di spazio e cominciammo a scavare nella neve… dopo circa un’ora di lavoro lo sforzo fu coronato da successo, fuori però non si poteva mettere la testa perché la bufera imperversava sempre violentissima… Il teleferista era stato portato via dalla valanga con un pauroso salto di 300 metri ed era andando a finire in fondo alla Val Ciamp Darei… Al posto della baracca non restava che un lenzuolo bianco dal quale spuntavano due o tre mozziconi di motore… Nella piccola montagna bianca dormivano il sonno eterno i 9 disgraziati soldati che la sera precedente erano stati travolti e le loro salme si poterono recuperare solo parecchi mesi dopo… In quella stessa notte gli austriaci ebbero oltre 300 morti per una valanga staccatasi dalla cima della Marmolada…”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro”La città di ghiaccio” di Bartoli-Fornaro-Rotasso): il cappellano militare Martin Matschik nel “duomo di ghiaccio”; celebra la messa al campo nelle retrovie; ancora padre Martin; Carlo d’Asburgo dopo la rassegna delle truppe in Val di Fassa; una salita notturna in teleferica; nello schizzo del tenente Tullio Minghetti la stazione della teleferica per Serauta; giovanissimo postino dell’esercito austro-ungarico; il dott. Bartoli ed il generale Fulvio Meozzi alla grande finestra della “galleria Rosso”; il giornalista Mario Fornaro; il maresciallo degli Alpini Gianrodolfo Rotasso; imbragato in una rudimentale barella in filo di ferro, un ferito viene calato a valle; rifugio vicino alla stazione a monte della teleferica del Sass delle Dodici: la baracca è costruita su palafitte perché d’inverno possa emergere dalla neve ed è trattenuta da funi di acciaio.