di Renato Frigo_Presidente.
Oramai sono passati 40 giorni da quando le giuste ordinanze per il contenimento della diffusione del virus COVID-19 hanno obbligato quasi tutti a rimanere a casa. A detta degli esperti sembra che la fase più aggressiva sia passata e si stia avvicinando il momento in cui si dovrà convivere con il virus, in attesa di cure mirate e di un vaccino. Conviverci e ripartire, pur tra mille incertezze diventa un imperativo. Una delle grande incertezze riguarda le strutture alpine in quota, i rifugi. Quelli che si raggiungono dopo ore di cammino, che presentano spazi ridotti e camere con più letti a castello prive di servizi privati, garantire il distanziamento, la continua sanificazione degli ambienti e il minor contatto sociale risulta molto difficile. I rifugi non sono solo «strutture» di ricezione turistica, contenitori di presenze o una meta gastronomica, , ma sono luoghi di vita, anche alternativa per chi li gestisce e per chi li frequenta, elementi fondamentali dell’offerta turistica delle montagna Veneta. I rifugi di proprietà o gestiti dalle sezioni CAI del Veneto sono 37, per un complessivo di 1904 posti letto e 2931 posti a sedere. Vista la peculiarità del problema, il CAI del Veneto si farà promotore nei prossimi giorni di contattare medici esperti, rifugisti e altre figure competenti, affinché possano elaborare una serie di indicazioni a supporto delle regole che le autorità regionali dovranno emanare nei prossimi giorni per la riapertura della stagione turistica. Ai rifugisti ribadiamo la disponibilità nel valutare le difficoltà che potrebbero insorgere nei prossimi mesi per una rigorosa applicazione del distanziamento sociale, con conseguente consistente riduzione delle presenze. Ognuno per la propria parte, con un rinnovato senso civico e solidale “insieme ce la faremo”.