Per la lotta di liberazione della Provincia, Belluno si è vista attribuire la medaglia d’oro assegnata nella pubblica cerimonia del 25 aprile 1947. Nel prezioso volumetto “Le medaglie d’oro bellunesi al valor militare” stampato dalla tipografia Tiziano di Pieve di Cadore nel 1993, lo storico Emanuele D’Andrea, dopo aver richiamato la motivazione aggiunge una nota per ricordare che non mancarono nell’occasione le polemiche, infatti “Feltre (medaglia d’argento) e la Deputazione provinciale protestarono fieramente per l’attribuzione al Capoluogo. Si addusse a giustificazione che l’entità ‘Provincia’ non poteva essere insignita (ma in realtà per la stessa lotta fu decorato il Friuli e per esso la città di Udine, così la ‘provincia di Apuania’. Mancava inoltre nella motivazione un cenno alla popolazione civile che molto aveva resistito e sofferto nel frangente della guerra”. Ed eccola la motivazione contestata: “Due volte invasa nel corso di venticinque anni, due volte la sua nobile ed intrepida gente si ergeva decisa, le armi in pugno, a combattere l’odiato tedesco. Subito dopo l’armistizio del settembre 1943 i suoi figli si organizzano in formazioni partigiane. E gli 86 impiccati, i 227 fucilati, i 7 arsi vivi, gli 11 morti per sevizie, i 5654 caduti in combattimento, assieme ai 301 feriti, ai 667 deportati e ai 7000 internati, costituiscono il tributo di sangue e di eroismo dato alla lotta di liberazione. Nei giorni di gloria dell’insurrezione i suoi volontari della libertà si opponevano arditamente senza misurare il numero del nemico e il suo armamento, al X corpo d’armata corazzato tedesco forte di tre divisioni, attestato a Ponte nelle Alpi gli precludevano ogni via di scampo e lo attaccavano di concerto con le sopraggiunte forze alleate ottenendone la resa a discrezione. Dalle rive sacre del Piave arrossato ancora una volta dall’italo sangue i suoi partigiani, che per primi ebbero il privilegio d’imbracciare le armi contro l’invasore, marciano oggi alla testa delle formazioni dei martiri e degli eroi di tutte le lotte per l’Italia una e libera e ci additano la via del dovere e del sacrificio. Settembre 1943 – aprile 1945”. D’Andrea ricorda che “I fatti avvennero sin dal 13 settembre (dunque 76 anni or sono come ieri – ndr.) quando i tedeschi entrarono in Belluno, occupando immediatamente l’intera provincia e dislocando nei centri anche minori le truppe a controllo totale del territorio. Nell’autunno si costituivano i primi Comitati di Liberazione ‘cospirativi’ e si formavano in montagna i primi gruppi armati. Il giorno 10 dello stesso mese Hitler istituiva una zona speciale comprendente le provincie di Trento, Bolzano e Belluno, denominata ‘Alpenvorland’ (preludio all’annessione con la Germania) sottratta ad ogni potere della Rsi (interdetta alla persona di Mussolini e alle altre organizzazioni fasciste). Nell’area pedemontana bellunese giungevano combattenti ricercati dalle zone dell’Emilia e del veneziano. Dalla primavera all’autunno si susseguivano attacchi armati ai tedeschi e le feroci risposte di costoro, non sempre per rappresaglia, ma deliberatamente. I capi partigiani catturati venivano torturati e i nemici peggiori erano le spie e i delatori. In quest’ultimo periodo si strutturava un Comando militare in Belluno, con la ripartizione e il controllo dell’area provinciale da parte di due Divisioni (‘Nannetti’ e ‘Belluno’). Il 2 maggio la Provincia veniva liberata”. Torniamo sulla motivazione della medaglia d’oro perché nelle prime righe – come conferma la lapide apposta sul lato ovest di Palazzo Rosso sede del Municipio di Belluno – la frase “… la sua intrepida gente si ergeva decisa, le armi in pugno a combattere l’odiato tedesco” è stata sostituita da quella meno forte: “…la sua intrepida gente si ergeva, le armi in pugno a combattere il tracotante straniero”. La grande lapide, 230×150, è stata collocata per iniziativa dell’amministrazione comunale retta allora dall’ing. Adriano Barcelloni Corte, del partito della Democrazia cristiana. Venne inaugurata il 25 aprile 1955. In proposito, lo scomparso comandante partigiano Aldo Sirena, autore del libro “La memoria delle pietre. Lapidi e monumenti ai partigiani in provincia di Belluno” ebbe modo di scrivere: “… Fu solo qualche tempo dopo lo scoprimento della lapide che i responsabili dell’Anpi, Associazione nazionale partigiani d’Italia, provinciale di Belluno notarono che il testo inciso non corrispondeva pienamente a quello del decreto di concessione dell’alta onorificenza… Non solo tale iniziativa si raffigurava come violazione della legge ma atto che veniva a snaturare sul piano culturale e storico le caratteristiche e le motivazioni che, sia pure in parte, avevano sollecitato e sostenuto la lotta popolare contro l’invasore tedesco… Il 14 settembre 1955, dopo un mese dalla pressante richiesta di chiarimenti da parte dell’Anpi, il Sindaco ribadiva che ‘la motivazione della medaglia d’oro concessa a questo comune capoluogo è quella originale risultante dal decreto di concessione… e non potrà subire alcuna modificazione se non in forza di altro decreto ministeriale’, e aggiungeva che ‘Tutte le riproduzioni della motivazione… possono subire nel tempo, per motivi di opportunità e di convenienza, piccole modificazioni che non alterino la parte sostanziale… e soprattutto la verità storica…’”. Totalmente insoddisfatta, l’Anpi che non ebbe più contatti con il Comune e registrò amareggiata che i giornali non pubblicarono la lettera con richiesta di chiarimenti e che “non è stata riparata la ferita fatta alla lapide ed alla Resistenza bellunese”.
NELLE FOTO (Renato Bona, Archivio Isbrec, ): la facciata ovest di Palazzo Rosso; la lapide con la scritta modificata rispetto alla motivazione ufficiale di concessione della medaglia d’oro; la sfilata in occasione della solenne cerimonia per il conferimento dell’onorificenza; particolare del monumento alla Resistenza realizzato da Augusto Murer per la Piazza dei Martiri di Belluno; disegni del grande artista feltrino Bruno Milano, anch’egli scomparso, a corredo del libro “Le ragioni della Resistenza bellunese” con interviste raccolte dal compianto Ferruccio Vendramini, edito dalla Libreria Moderna Pilotto di Feltre nell’aprile 1968.