Abbiamo visto nel precedente servizio che per Riva d’Agordo oggi Rivamonte Agordino il grosso del reddito per la locale comunità, a partire dal ‘600 proveniva dalle attività minerarie e metallurgiche di Valle Imperina, e ricordato il fatto che con il crollo di parte delle miniere, nel 1774-76, si registrò una grossa crisi che comportò disoccupazione cui ci cercò di porre rimedio dando il via al fenomeno dell’emigrazione. Nel libro “Riva de na òlta: paés de cónze e de canòp” con un ricordo in 66 foto del 1888-1950 (edito in occasione della mostra fotografica “Riva de na òlta” dell’estate 1983 con Nuovi Sentieri ad iniziativa del Comune, con il contributo della Parrocchia e dell’Azienda autonoma soggiorno e turismo Conca Agordina, testo di Raffaello Vergani, riproduzioni fotografiche di Giuliano Laveder, ordinazione fotografica e didascalica di Loris Santomaso dal cui archivio sono state riprodotte alcune immagini come con Bepi Pellegrinon, Rinaldo Andrich ed Adelio Da Ronch, stampa Litografia Antica di Crocetta del Montello) Raffaello Vergani dopo aver puntualizzato che “La crisi di quegli anni viene riassorbita verso il 1790-1795, ma subito dopo comincia il periodo delle guerre napoleoniche con le difficoltà economiche che esso comporta” evidenzia che “La situazione si stabilizza nuovamente verso il 1815, quando si apre per Riva un periodo di pace e di relativa prosperità economica che dura fino al 1866”. Poi… “ un lungo declino che trova nella progressiva diminuzione della popolazione uno dei suoi segni più evidenti: 2048 residenti nel 1871, 1484 nel 1961, 914 nel 1981. Il motivo di fondo è il fatto che a partire dal 1860 le miniere di Valle Imperina non sono più competitive sul piano internazionale”. Ne consegue – scrive Vergani – nel 1868 il blocco delle assunzioni, nel 1893 l’abbandono del trattamento locale del minerale, nel 1931 addirittura la sospensione dei lavori per qualche anno, con ripresa nel 1933 ma a ritmo ridotto. Nel frattempo ed inevitabilmente si rafforzano le tradizionali correnti migratorie temporanee e sui registrano sul finire dell’Ottocento i primi casi di partenze definitive. Ed è molto significativo per Vergani il fatto che nel 1905 “La Società operaia di mutuo soccorso di Rivamonte venga fondata non già in Agordino ma nel centro minerario di Bingham Canyon, nello Utah (Stati Uniti d’America)”. E veniamo all’ultimo penoso capitolo della storia: nel 1962 la concessionaria dei lavori Montecatini chiude le miniere e offre ai dipendenti tutti la possibilità di impiegarsi altrove nei suoi stabilimenti e miniere in Lombardia, Toscana o Sardegna. E le famiglie rivamontesi vivono un autentico dramma: “andarsene lontano, recidendo i propri legami con il paese d’origine, o restare, ma con l’incertezza del lavoro e magari con la prospettiva dell’emigrazione temporanea. E’ un momento angoscioso, che resta ancor oggi, dopo oltre vent’anni, profondamente scolpito nella memoria di coloro che l’hanno vissuto”. Tuttavia una scelta va fatta e dunque “c’è chi parte, affrontando con coraggio lavori e ambienti sconosciuti; c’è chi rimane, adattandosi con altrettanto coraggio ad una situazione locale difficilissima”. E così il paese tra il 111961 e 1981 perde quasi la metà della sua popolazione “ma non è, naturalmente, solo questione di numeri: coloro che se ne vanno sono per lo più giovani; quelli che restano sono, spesso, gli anziani. Il che fa concludere a Raffaello Vergani che: E’ la sorte di molti, moltissimi altri paesi di montagna”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Riva de na òlta”): Anni Venti: rivamontesi in Svizzera: Maria Tazzer, Caterina Gnech, Ettore Friz, Maria Gnech; a la Caséra nel 1923; scuole dei Tós, anno 1923; foto d’obbligo, nel 1924, per i ventenni; a Tiser per Sant’Antonio; Maria e Nicolò Laveder; alunni dei Tós nel 1926 con la maestra da Franche; scuola di Zenich nel 1927 con don Emilio Del Din; 1928. Maria Rosson, Elena Conedera, Rosa Faoro, Maria Pasquali e Maria Laveder dopo la pulizia del cimitero; davanti ai Mét poi Nòzi per la scampagnata di Sant’Antonino nel 1932; el Tòna suona l’armonica a metà Anni Trenta; Sant’Antonio: festa sempre molto sentita, è il 1920; cónze a Saronno negli anni Venti: Giovanni Fossen, Vittore Schena, Antonio e Giacomo Zanin, Pietro Schena; Cesare Rosson, Attilio Laveder e Pòpo dei Casenove in centro Italia; Milano: si riconoscono Gino Schena, Pép, Giuseppe Schena e Gino Fossen; 1926: cónze da Riva che va a sbatocià nella Pianura Veneta.