DI RENATO BONA
Onore al merito di Vincenzo Caputo, il ricercatore che si è ripromesso di scoprire, o riscoprire, una serie di situazioni riferite a Belluno ed ha già realizzato libri che spaziano in vari ambiti: dalle chiese ai capitelli, dalle decorazioni di edifici ai… gabinetti!, per approdare, era il luglio 2009, a “Cancelli in ferro a Belluno”. Si tratta del libro edito nelkla serie “Quaderni” dall’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali presieduto dal prof. don Sergio Sacco, e stampato dalla purtroppo ora scomparsa tipografia Piave, per il quale non è mancato il prezioso contributo di Roberto Reolon, per la descrizione tecnica, e la collaborazione di Augusto Burlon per la presentazione araldica; copertina e disegni nel testo dello stesso Reolon, fotografie di Luca Zanfron e dello stesso Caputo (che ha dedicato il volume in particolare al figlio Davide “per un futuro di serenità”). Nell’introduzione, l’autore spiega che “Il termine ‘ferro battuto’ che comprende i concetti di ferro sbalzato, martellato e intagliato, è per molti diventato sinonimo di un tipo di arte legata ai tempi passati e ormai quasi completamente estinta; invece proprio in questi ultimi anni i lavori in ferro battuto stanno conoscendo una rinascita ed un rinnovato interesse da parte di taluni artisti o artigiani”. Ed è questo il caso – sottolinea convinto – delle cancellate e delle inferriate”. Ricorda quindi che in origine il cancello consisteva in una struttura costruita interamente in legno e con la precisa funzione di consentire il passaggio attraverso una recinzione che delimitava una proprietà. In un secondo tempo, però, il cancello cominciava a presentare anche parti di metallo aggiunte a quelle in legno, allo scopo di rendere la struttura più solida e duratura. Inoltre, essendo il ferro un materiale molto resistente, esso conferiva al cancello una funzione di protezione e di sicurezza”. Nel tempo la quantità di ferro è andata sempre più aumentando fino a diventare l’unico materiale con cui venivano costruiti. Poi, “conformemente ai criteri stilistici e architettonici delle diverse epoche, il cancello subisce mutamenti anche molto rilevanti”. Caputo ricorda quindi che nel nostro Paese, purtroppo, il patrimonio di cancellate costruite in ferro battuto è stato notevolmente depauperato in seguito a decreti emanati durante le guerre mondiali con lo scopo di procurare ferro da utilizzare come materiale bellico; e così poche le cancellate che sono state risparmiate “solo perché ritenute opere di grande pregio artistico o storico”. Inevitabile a questo proposito il richiamo due personalità di primo piano, maestri veri, creativi in possesso di tecniche raffinate come Alessandro Mazzucotelli ed il feltrino Carlo Rizzarda (1883-1931). Quest’ultimo fu autentico “mago del ferro battuto ed ebbe celebrità nazionale all’inizio del secolo per la sua officina milanese”. E non è dunque un caso se dopo la Grande Guerra, “Il Ministro per la Costruzione delle Terre Liberate dal Nemico” (1919-1923) dispose che un centinaio di ragazzi bellunesi e friulani dai 12 ai 15 anni venissero ospitati in un convitto vicino a Milano e fu offerta ad essi la possibilità di frequentare le scuole professionali della Società Umanitaria. Un consistente gruppo fu inserito nella sezione fabbri. Molti di quel gruppo si sono distinti”. Passando oltre Vincenzo Caputo ricorda che alcuni manufatti, pur contemporanei alle ville o palazzi, nel tempo sono stati restaurati, verniciati, modificati o addirittura sostituiti, a volte rispecchiando lo stile precedente, altre volte cambiandolo totalmente per adeguarli alle nuove esigenze dei tempi e ciò spiega, fra l’altro, perché non sempre la loro datazione corrisponde all’epoca di realizzazione dell’immobile di cui sono parte comunque importante, e precisa che sono numerosi i cancelli risalenti in prevalenza “al primo periodo del secolo scorso, ai quali è stata applicata in fase d’opera o successivamente una tamponatura in lamiera, ricoprendo in gran parte o a volte quasi del tutto le parti più interessanti e apprezzabili del cancello”; per questo tali manufatti sono inclusi nel libro. Conclude quindi spiegando che “questo lavoro mi ha emotivamente coinvolto, specialmente ogni qualvolta mi sono soffermato a pensare quanto umano impegno, quanta fantasia artistica e quanta paziente fatica sono state profuse per la realizzazione di ogni singola Opera. Proprio queste sono le motivazioni che mi hanno spinto ad affrontare la ricerca, Essa vuole pertanto essere un doveroso riconoscimenti poer che, non tempo, ha così tanto dato”. A chi ha steso queste note resta da dire che il lavoro di Vincenzo Caputo – sul quale sarà d’obbligo tornare – si articola in questi capitoli: il primo: “I fabbri del ferro battuto” ( Già nei secoli scorsi e fino alla prima metà del XX secolo i cancelli sono costruiti con profili a volute o a lance in ferro piatto e quadro e fusioni in ghisa o piombo. Il loro assemblaggio avveniva con chiodatura e ribattitura con lavorazione manuale su verghe di ferro commerciali, le lance e le volute erano lavorate a forgia, mentre le colone portanti del cancello, aventi forma esagonale o rotonda, in fusione di ghisa”: indicazioni di Luigi Velo il quale, proseguendo dal 1951 l’attività paterna, ancora opera nell’officina fabbrile aperta nel 1919 a Feltre da Ermenegildo Celli e dal proprio genitore Aurelio Velo su modello del maestro feltrino Carlo Rizzarda che svolgeva l’attività a Milano, Feltre, 12 giugno 2003”) con i capitoletti; “Un tempio del ferro battuto – Il museo Rizzarda a Feltre” nel quale si legge che Carlo Rizzarda, nato a Feltre nel 1883, operò a Milano dal 1904 alla sua morte, avvenuta prematuramente nel 1931. Nel 1926, benestante e con meriti riconosciuti, acquistò il cinquecentesco Palazzo Cumano, in via Paradiso a Feltre. L’intenzione, espressa nel 1928 all’architetto Alpago Novello era di creare un museo d’arte moderna nella sua città natale. Il 12 agosto 1929, con atto testamentario, Rizzarda volle lasciare al Comune di Feltre il palazzo da poco acquistato, un milione di lire italiane, i ferri battuti del suo ‘catalogo materiale’, conservati nella villa milanese di Via Castelmorrone, e tutte le opere, i mobili, i quadri, gli oggetti artistici di sua proprietà. La Galleria d’arte moderna ‘Carlo Rizzarda’ inaugurata il 5 maggio 1938, è un museo di arti decorative contenente una raccolta unica al mondo, di oggetti in ferro battuto del primo Novecento. I 400 manufatti in ferro forgiato, tra i quali balaustre, lampade, cancelli, elementi decorativi, documentano le possibili declinazioni del ferro battuto”; altri capitoletti: “Elenco delle ditte siderurgiche e metallurgiche a tutto il 30 giugno 1932 “Belluno: officine fabbrili dismesse” (la De Benedet Angelo e figli che iniziò nella via Caffi 22 l’attività nel 1918 e operò fino al 1967, il fabbricato, che era in stato di abbandono è stato abbattuto nel 2005 ed ora vi sorge un edificio ultimato nel 2006; la Buzzatti Angelo e Giuseppe, in Borgo Pra-Via Lungardo,, conosciuta col nome di Busighel, che nel XVI secolo fu proprietà del famoso spadaio feltrino Andrea Ferrazzi, l’ultimo proprietario fu un Buzzatti con inizio attività nel 1919 e chiusura negli anni Cinquanta; la fratelli De Col Francesco e Giuseppe, nella via Vittorio Veneto 15, inizio attività nel 1911 e cessazione nel 1982; il fabbricato da allora in stato di abbandono è stato ristrutturato nel 2004 con cambiamento d’uso, ora alloggi; infine la fratelli Orzes Attilio e Federico, nella via San Francesco 31, inizio attività nel 1920 e proseguita dagli eredi fino agli anni Ottanta; il fabbricato, con all’esterno ancora delle attrezzature, è chiuso da tempo; il quinto capitoletto: “Arnesi del fabbro anni Trenta e loro nomenclatura”; “Arnesi del fabbro anni Sessanta e loro nomenclatura”; “Sant’Eligio Patrono dei fabbri”); il secondo: “Stemmi di famiglie nobili”; il terzo: “I cancelli: cenni di nomenclatura: “Elementi costitutivi e nomenclatura del cancello”; “Elementi decorativi forgiati, battuti e piegati”; “Aste ed elementi decorativi fusi e da innesto”; “Chiodatura e fascettatura; “Catalogazione dei cancelli”; “Generalità”; “Carattere stilistico”; “Tipologia dei cancelli”; “Indagine conoscitiva”); il quarto: “Tipi di cancelli del dopoguerra”; il quinto: “Imitando tipi e temi del passato”; il sesto e ultimo: “Analisi dei cancelli di Belluno”
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro”Cancelli in ferro a Belluno” di Vincenzo Caputo; Renato Bona; visitfeltre.info; Fondo ambiente italiano): la copertina del volume; l’autore del libro; due immagini di Rizzarda; scorcio della galleria Rizzarda di Feltre; officine fabbrili bellunesi dismesse: la De Benedet Angelo e figli di via Caffi; la Buzzatti Angelo e Giuseppoe conosciuta come Busighel, nella via Lungardo: la fratelli De Col Francesco e Giuseppe nella via Vittorio Veneto; la fratelli Orzes Attilio e Federico di via San Francesco; cancello pedonale di Villa Morassutti; relitto di cancello di Villa Montalbam; cancello principale di villa Miari Fulcis; cacello “rococò” a Villa pagani Gaggia e cancello del viale di Villa Alpago a Visome; cancello “rococò” nella via Del Piave e cancello ottocentesco in via Monte Grappa; cancello “liberty” di squisita fattura e altro, stesso stile nella via Cappellari; ancora un cancello “liberty a zoccolo cieco” e quello, pure “liberty”, alla villa Carpenada.