Nel liquidare i propri fornitori, la Pubblica Amministrazione presente in Veneto è tra le più “tempestive” d’Italia, con tempi medi di pagamento nettamente inferiori ai limiti stabiliti per legge. Analizzando l’Indicatore di Tempestività dei Pagamenti (ITP) della nostra Regione, delle Aziende ospedaliere, delle Province e dei Comuni capoluogo scorgiamo che nel 2023 la più rapida a liquidare i fornitori è stata l’ULSS 4 del Veneto Orientale che l’ha fatto con 40 giorni di anticipo. Tra le Province, invece, spicca il risultato di Verona che ha pagato quasi 26 giorni prima, mentre tra le Amministrazioni comunali capoluogo di provincia la più virtuosa è stata Padova che ha saldato i fornitori con un anticipo di 21,5 giorni. Nel 2023 nessuna delle 25 realtà monitorate dall’Ufficio studi della CGIA ha pagato i fornitori in ritardo (vedi Tab. 1).
Di quali fatture ci riferiamo? Di quelle riconducibili ad acquisti, consumi, forniture, manutenzioni, formazione del personale e spese energetiche. Ricordiamo che nel 2023 lo Stato italiano ha sostenuto un costo complessivo di 122 miliardi di euro, ma ancora una volta non è riuscito a onorare tutti gli impegni economici presi con i propri fornitori. Se come dicevamo, in Veneto la situazione è virtuosa, in altre parti del Paese, invece, non lo è affatto; soprattutto nel Mezzogiorno (vedi Tab.2 e Tab.3). I debiti commerciali della nostra Pubblica Amministrazione (PA), infatti, continuano ad ammontare a circa 50 miliardi di euro, un importo che è praticamente lo stesso da almeno 5 anni.
Di questi, almeno 5 miliardi, stima l’Ufficio studi della CGIA, sarebbero in capo alle aziende venete.
Come è possibile questa situazione se le Amministrazioni pubbliche presenti in Veneto sono così veloci nei pagamenti?
In primo luogo perché molte aziende venete lavorano anche per grandi aziende pubbliche, ministeri, regioni, ASL o enti locali di altri territori e in secondo luogo perchè, come ha sottolineato anche la Corte dei Conti in una delle sue ultime relazioni, nelle transazioni commerciali con le aziende private la nostra PA, in particolare al Sud, sta adottando una prassi che definire “diabolica” è forse riduttivo; salda le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’ITP entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, così, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese.
Non solo. Da qualche tempo si è consolidata una nuova pratica “imposta” da molti dirigenti pubblici, anche di società collegate alle regioni e agli enti locali, che decidono unilateralmente quando i fornitori devono emettere la fattura. Se questi ultimi non si “attengono” a questa disposizione, lavorare in futuro per questo ente/società sarà difficile. Dando l’autorizzazione all’emissione della fattura solo quando l’Amministrazione dispone dei soldi per liquidarla, queste strutture pubbliche riescono a “rispettare” i tempi di pagamento, “aggirando” così le disposizioni previste dalla legge. Una forma di abuso della posizione dominante che risulta essere decisamente “ripugnante”.
Su 15 ministeri 9 non rispettano la norma
Anche i ministeri italiani faticano a rispettare le disposizioni previste dalla legge in materia di tempi di pagamento riferiti alle transazioni commerciali. L’anno scorso nove ministeri su 15 (vale a dire il 60 per cento del totale) hanno liquidato i propri fornitori in ritardo rispetto alle scadenze contrattuali. Maglia nera il ministero del Turismo con un ritardo di 39,72 giorni. Seguono l’Interno con +33,52, l’Università e la Ricerca con +32,89 e la Salute con +13,60. Il più virtuoso, invece, è stato il ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste che ha pagato con un anticipo di 17 giorni (vedi Tab. 4).
L’UE ci ha richiamati più volte
Con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private. Sebbene in questi ultimi anni i ritardi medi con cui vengono saldate le fatture in Italia siano in leggero calo, il 9 giugno 2021 la Commissione Europea ha avviato nei confronti del nostro Paese una nuova procedura di infrazione, sempre per la violazione della direttiva richiamata più sopra, in relazione al noleggio di apparecchiature per le intercettazioni telefoniche e ambientali nel quadro delle indagini penali. Il 29 settembre 2022, invece, la Commissione ha aggravato la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e, infine, ad aprile 2023, in relazione a una presunta violazione della Direttiva sui pagamenti a carico del sistema sanitario della regione Calabria, ci ha fatto pervenire una lettera di messa in mora.
Consentire la compensazione tra i debiti fiscali e i crediti commerciali
Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, in particolare del Mezzogiorno, per l’Ufficio studi della CGIA c’è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo da decenni che continua a minare la tenuta finanziaria di moltissime micro e piccole imprese.