di Renato Bona
Sarà per il fatto che mio suocero, Giovanni “Nani” D’Incà, classe 1920, ha lavorato per lustri come assistente tecnico dell’Enel e mi parlava spesso, sempre con entusiasmo, di tanti cari ricordi, di colleghi e situazioni vissute anche in periodi non facili, sta di fatto che mi ha sempre affascinato il mondo dell’impiantistica idroelettrica. Ed ho dunque letto con notevole interesse il capitolo “Impianti idroelettrici” dell’ormai introvabile volume “La provincia di Belluno in regime fascista” con i resoconti dell’attività svolta e opere compiute sotto il regime fascista dalle amministrazioni e dagli enti della provincia. Il libro è stato curato, su delega del prefetto Costanzo Gazzera, dal vice prefetto Carlo Riva, stampato il 21 aprile 1934, il dodicesimo anno dell’era fascista, nello stabilimento tipografico Panfilo Castaldi di Feltre, a cura della Regia Prefettura e della Federazione provinciale del partito di Benito Mussolini. Il capitolo intitolato “Impianti idroelettrici” di cui ci occupiamo, promettendo che sull’argomento torneremo presto,si apre con la Società idroelettrica veneta ed è riservato agli impianti del Piave e di Santa Croce. Detto che la loro costruzione ha avuto inizio nell’immediato dopo guerra e, sviluppandosi durante un periodo di circa 11 anni si è conclusa nel 1930, viene ricordato che “in grazia delle caratteristiche particolari degli impianti stessi, è stata possibile fin dai primi anni della costruzione, la produzione di un certo quantitativo di energia elettrica, la quale è andata progressivamente crescendo col successivo sviluppo dei lavori, fino a raggiungere oggi, ad impianti ultimati, tale entità da poter considerarli fra i più potenti d’Europa”. Segue una precisazione: “Uno sfruttamento del Piave lungo il suo corso naturale, a valle di Ponte nelle Alpi, sarebbe risultato poco conveniente per l’ampio giro che il fiume descrive attorno alle Prealpi Bellunesi. La colossale spaccatura di Fadalto e della valle del Meschio, sede, all’epoca glaciale, di uno dei rami del grande ghiacciaio del Piave, offre invece la via più conveniente per l’utilizzazione industriale, fino alla pianura, delle acque del fiume, sia per la sua brevità, sia perché presenta una successione di laghetti e di conche naturali facilmente riducibili a serbatoi atti a conferire particolare elasticità agli impianti”. Ancora nella lunga premessa, si può leggere che lo sfruttamento di tale favorevole situazione naturale ebbe un principio di attuazione poco prima della guerra, colla costruzione di un impianto idroelettrico che, derivando le acque del solo bacino proprio del lago di Santa Croce, nella misura media di metri cubi 2 al minuto secondo, le utilizzava nelle due centrali di Fadalto e di Nove, con un salto complessivo di circa 200 metri, e le restituiva nel fiume Meschio”. Va sottolineato che questi impianti sono tuttora esistenti e funzionanti insieme con i nuovi, di tanto più potenti. Nelle due centrali suddette sono ancora installati rispettivamente 3 e 2 gruppi turbina-alternatore, ciascuno della potenza di cerca 4000 Hp. Altra notizia: Il nuovo impianto che utilizza le acque del Piave e quelle del bacino del lago di Santa Croce, è così schematicamente costituito: “dalla presa del Piave a Soverzene, a quota 390 sul livello del mare, le acque del fiume vengono convogliate nel lago di Santa Croce, ampliato e sistemato a serbatoio di accumulazione. Da questo passano ad alimentare successivamente le centrali di Fadalto, di Nove e di San Floriano, con scarico rispettivamente nel lago Morto, nel laghetto del Restello ed in quello di Negrisiola”. All’estremità sud di questo lago, le acque vengono riprese e convogliate parte verso la centrale di Castelletto e parte verso quella di Caneva; entrambe queste centrali scaricano nel fiume Meschio dal quale le acque di scarico della centrale di Caneva, vengono ancora riprese ed utilizzate in un’ultima centrale sulla sponda destra del fiume Livenza, che le restituisce a 13,30 metri sul livello del mare. In questa occasione resta da soffermarci su alcune notizie idrografiche. Eccole: il bacino imbrifero del Piave alla presa di Soverzene, misura 1690 chilometri quadrati e la portata media è di circa 51 metri cubi al secondo; di questi, 30 metri cubi in media vengono derivati per la utilizzazione. Il bacino proprio del lago di Santa Croce si aggira sui 150 chilometri quadrati e il suo contributo medio si può prudenzialmente ritenere di 3 metri cubi dato che una parte del bacino, per fenomeni carsici, manda probabilmente le acque in altri versanti. In totale quindi si ha una portata media di 33 metri cubi al secondo. Per quanto attiene alle opere di presa dal Piave, nel libro viene spiegato che “Lo sbarramento attraverso il Piave sorge attraverso l’alveo (in quel punto lungo poco più di un chilometro) poco a valle del paese di Soverzene. Procedendo dalla sponda destra verso la sinistra, in corrispondenza della quale sorgono le opere di presa, abbiamo dapprima un argine insommergibile della lunghezza di 670 metri, cui segue una traversa sommergibile in calcestruzzo con rivestimento in pietra da taglio, alta 4 metri e lunga 2,70, con taglione a valle, fondato ad aria compressa; questa traversa è destinata a servire quasi unicamente in caso di piena. Procedendo sempre verso la sponda sinistra abbiamo uno scivolo per il passaggio delle zattere, e tre grandi bocche di scarico e di sghiaiamento di 12 per 4 metri ciascuna, munite di paratoie e settore automanovrabili. Seguono le opere di presa propriamente dette, costituite da due grandi bacini successivi di presa e di decantazione, separati dalle griglie e dalle paratoie di immissione. I due bacini sono muniti di bocche di scarico”. Infine la precisazione che: all’estremità del bacino di calma, che è provvisto di un lungo sfioratore, si aprono gli imbocchi alle due gallerie che attraversando lo sperone di Sant’Augusta, costituiscono il primo tratto del canale di derivazione, della lunghezza complessiva sui 9 chilometri dalla presa di Soverzene all’argine di contenimento del lago di Santa Croce. Argine che viene sottopassato con sifone dopodiché il canale entra nel perimetro del lago lungo il quale si sviluppa per altri mille metri. Lungo il percorso, a seconda dei terreni attraversati,cambiano, col tipo di struttura, la sezione e la pendenza. Il primo tratto è costituito dalle gallerie di Soverzene. Per gli attraversamenti stradali si è provveduto con ponti di vario tipo, in cemento armato, mentre per lo scarico delle acque e dei materiali di trasporto dei numerosi torrentelli trasversali sono stati costruiti appositi manufatti. Il lago-serbatoio di Santa Croce “costituisce il centro vitale dell’impianto, servendo ad immagazzinare e regolarizzare le acque del Piave, che vengono derivate dal fiume in misura variabile a seconda dei deflussi naturali. Per ottenere la capacità utile di 120 milioni di metri cubi è stato necessario, oltre allo svaso di 20 metri sotto il livello normale, elevare la quota di massimo invaso da 380 e 386 metri, mediante la costruzione lungo la strada La Secca-Alpago di un argine di contenimento lungo due chilometri e dell’altezza massima di 9 metri. La superficie massima del lago è stata così portata a 8 chilometri quadrati, sommergendo gran parte delle paludi situate al suo argine settentrionale, con notevole vantaggio per il prosciugamento dei terreni della valle del Rai e per le condizioni igieniche della zona. C‘è infine da dire che: “L’ampliamento del lago ha reso necessario lo spostamento a quota più elevata di due tronchi della strada nazionale di Alemagna per complessivi 2500 metri, con la costruzione di imponenti opere murarie”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “La provincia di Belluno in regime fascista”; Panizzon, Artefascista, Wikipedia): presa dal Piave, a Soverzene, degli Impianti idroelettrici Piave-Santa Croce”; una condotta forzata; così la centrale di Soverzene; brillamento ad opera di Benito Mussolini, nel giugno 1923, della mina subacquea per l’apertura della galleria di Fadalto; interno della centrale bellunese di Soverzene intitolata ad Achille Gaggia; panoramica del lago di Santa Croce; l’assistente edile Giovanni D’Inca, secondo da sinistra, durante un sopralluogo con tecnici e funzionari; Fadalto: la centrale; interno dello stesso impianto; la centrale di Nove.