Il 22 giugno del 2009 (era di lunedì) si spegneva a Firenze un agordino illustre: il prof. Vito Pallabazzer, nato a Colle Santa Lucia il 3 ottobre 1928 (era di mercoledì), particolarmente distintosi nella ricerca in linguistica e dialettologia dell’area dolomitica. Frequentate le elementari nel paese che gli aveva dato i natali, proseguì gli studi in quel di Bolzano e poi a Belluno. Si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Firenze e conseguì la laurea discutendo la tesi sul tema: “Nomi delle piante indigene nel dialetto di Colle Santa Lucia”. Secondo la libera enciclopedia Wikipedia, fu allievo di Carlo Battisti col quale collaborò a Firenze nell’Istituto di studi per l’Alto Adige; si dedicò pure alla ricerca sulla toponomastica, su flora e fauna nonché tradizioni e costumi dell’alto Agordino. Pallabazzer vantava la pubblicazione di oltre 400 opere: monografie (fra le altre: del 1972: “I nomi di luogo dell’Alto Cordevole”, Firenze, Olschki); del 1978, con Floriano Chizzali: “Colle Santa Lucia. Vita e costume”, Mestre, Edizioni Turismo veneto; del 1990: “Lingua e cultura Ladina. Lessico e onomastica di Laste, Rocca Pietore, Colle Santa Lucia, Selva di Cadore, Alleghe”; del 1992: “Paranormale e società dolomitica. Credenze, miti, fenomeni strani e meravigliosi delle genti ladine”, Vigo di Fassa, Istitut Cultural Ladin ‘Majon di Fashegn’; del 1995: “Gente di montagna. Dalle Dolomiti storie e costumanze senza tempo”, Falcade, Nuovi Sentieri Editore) ed articoli in riviste specializzate; dal 1977 fu direttore dell’Istituto per gli studi per l’Alto Adige e dal 2004 assunse la presidenza dell’Istitut cultural ladin Cesa de Jean con sede proprio a Colle Santa Lucia. Del professor Pallabazzer scrive fra l’altro la Magnifica Regola di Selva e Pescul di Cadore ricordando la collaborazione con l’Union Ladign de Selva per il progetto di recupero del patrimonio toponomastico di Selva di Cadore con realizzazione dell’Atlante toponomastico con lo scopo di approfondire la conoscenza territoriale nonché di riscoprire il significato, la tradizione e l’origine dei nomi dei luoghi che da secoli vengono trasmessi oralmente dagli anziani ai più giovani. Il lavoro – si sottolinea – che era partito dalle ricerche del professor Luigi Nicolai “Il dialetto Ladino di Selva di Cadore” e del professor Vito Pallabazzer “Toponimi di Selva di Cadore” si è sviluppato nel corso di un quinquennio ed ha permesso la raccolta di un vasto numero di informazioni che rischiavano di perdersi con il venir meno degli informatori più anziani. Abbiamo detto delle numerose e tutte qualificate pubblicazioni di Pallabazzer; aggiungiamo che possediamo una copia del libretto “La ladinità di Rocca Pietore dalle origini ai nostri giorni” , estratto dall’Archivio per l’Alto Adige (annata LXXXVII 1993) edito, con la collaborazione dell’Istituto di studi per l’Alto Adige di Firenze e la Comunità montana Agordina, per i tipi della bellunese tipografia Piave, nell’agosto 1995, con foto d’epoca di Bruno De Toffol ed altre tratte dalla pubblicazione “Ricordi dell’Agordino” della Nuovi Sentieri Editore. Si tratta della relazione tenuta da Vito Pallabazzer proprio a Rocca Pietore sabato 31 luglio 1993 in occasione di un convegno dell’Associazione nazionale Alpini, sezione Rocca Pietore-Marmolada. Il sindaco di Rocca Pietore, Massimo De Vallier, affermava che “E’ con orgoglio montanaro che intendiamo, per quanto possibile, con questa pubblicazione, rivalutare ed esplorare in tutte le direzioni, quelle che sono le nostre radici ladine, fiduciosi che la popolazione saprà capirne tutta la sua importanza. Ed è con speranza che dedichiamo questo messaggio alle generazioni future onde impedire che vada perso un patrimonio fin qui tramandatoci”. Dava quindi atto a Pallabazzer, esprimendogli riconoscenza e i ringraziamenti della popolazione della val Pettorina, di un “grande e minuzioso lavoro svolto in anni di ricerche”. Il testo di Pallabazzer si conclude così: “Il Rocchesano, soprattutto grazie agli studi di G.B. Pellegrini, è considerato autenticamente ladino e aggregabile, quanto alle origini, al ladino, così si afferma in sede scientifica, anche se di fatto regnano ancora preclusioni e pregiudizi, Nella stessa posizione del rocchesano si trovano oggigiorno le altre parlate dell’alto Cordevole con esclusione semmai, per varie ragioni, del livinallese il quale non gode peraltro, sotto l’aspetto legislativo, dello status del badiotto e del gardenese e neppure del fassano. Ne deriva pertanto che mentre le tre parlate ora citate, con le rispettive culture, hanno il supporto in sede regionale di una precisa legislazione a loro favore, nonché di due Istituti a cui sono assegnati sostanziosi finanziamenti, quelle dell’Alto Cordevole, pur associate alla benemerita Unione dei Ladini Bellunesi, non possono guardare al futuro con altrettanta fiducia, perché sono sul punto di disgregarsi e di disperdersi definitivamente nella cultura di massa. E, come è noto, le cause di questo tracollo dipendono non solo dall’evoluzione socio-enonomica dei tempi in cui stiamo vivendo, ma anche del disinteresse in alto loco per i nostri idiomi, il nostro ambiente e le nostre piccole culture in generale”. NELLE FOTO (riproduzioni dal libretto “La ladinità di Rocca Pietore dalle origini ai nostri giorni; Google; sito iski.it): lo scomparso prof. Vito Pallabazzer; “Gente di montagna” con illustrazioni di Franco Murer; copertina della pubblicazione con l’intervento di Pallabazzer al convegno Ana di Rocca Pietore nel 1993; Rocca di una volta; Laste: le due chiese; Masarè e il vecchio ponte sul lago di Alleghe; il Sass de la Murada a Ronch; Atlante toponomastico di Selva di Cadore.