“L’artigianato del legno e del ferro a Fodóm” è il titolo di un prezioso volume che per la serie Quaderni, l’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali guidato dal prof. don Sergio Sacco ha dato alle stampe nel giugno 1995 con le Officine di Bertoncello artigrafiche di Cittadella di Padova. L’autore è un autentico personaggio della cultura: il maestro Franco Deltedesco (nella foto del sito “schule.provinz.bz.it”), tra l’altro uno dei fondatori del Museo ladino Fodòm. Nella copertina del libro la riproduzione di una immagine che richiama la tradizione dell’“Alberello” posto sulla cima quando la casa veniva portata a termine. Sergio Sacco esordisce in prefazione scrivendo che “Il maestro Franco Deltedesco è un ricercatore appassionato e attento della sua cultura ladina”, che dopo aver esplorato vari campi della propria terra ha rivolto la sua attenzione all’artigianato fodóm “ben consapevole che esso presenta degli innegabili valori, frutto di un’ingegnosità di secoli, e di una amorosa cura protrattasi attraverso il tempo”. Considerato – di fronte alla cultura della macchina e sotto la spinta dell’industria – che l’artigianato locale vive un momento di difficoltà, Sacco sostiene che “è parso bene al benemerito ricercatore di fissare per iscritto questo mondo ricco e un po’ sottovalutato… di vedere con quale settore dell’artigianato iniziare”. E Deltedesco ha optato per la lavorazione del legno e del ferro visto che i due elementi costituiscono spesso un binomio indissolubile negli attrezzi fodóm. Quindi “studiarli congiuntamente è una prospettiva culturalmente corretta”.In chiusura una considerazione:: “L’uso della parlata locale nelle introduzioni ai vari capitoletti e nella nomenclatura costituisce un ulteriore pregio della ricerca che può considerarsi, pertanto, a sua volta uno ‘strumento’ non di legno o di ferro, ma egualmente valido per capire la vita e la cultura ladina di Fodóm”. Dopo quello dedicato alla lirica di A. Soratroi: “Là dov’è la Marmolada” (Ulà ke la Marmolada”: “…In questa valle circondata dai monti la gente vive tranquilla salutata alla sera dal Boè e al mattino dal Civetta; in questo paradiso, fra monti, boschi e valli noi abbiamo costruito le nostre case e i nostri fienili…”) c’è il capitoletto intitolato “Artejáñ da Fodóm” cui sono accostate diverse belle fotografie che di seguito proponiamo. E che ricordano come “L’artigianato nel Comune di Livinallongo si basa, in gran parte sulla lavorazione dell’unica materia prima esistente in zona: il legno. Si aggiunge, sotto la seconda foto, che “Secondo il censimento del 1990 le persone che lavorano nel settore dell’artigianato portano avanti 34 piccole e medie aziende locali. A seguire:”La maggior parte sono falegnami, muratori, idraulici, elettricisti, meccanici, imbianchini, fabbri, lattonieri”. E: “Nell’alta val Cordevole, è in maggioranza a conduzione familiare”. Con “Diversi addetti a questo settore che sono stagionali, pertanto costretti ad integrare il proprio reddito nel periodo invernale, con servizi nel turismo”. Comunque, “L’artigianato ha sempre avuto un notevole peso nell’economia degli abitanti delle zone montuose” , sicché “Si può dire che sia sorto dalle esigenze e dall’intraprendenza della gente povera della montagna che usò i materiali che trovava sul posto, in primo luogo il legno. L’uomo costruì da sempre gli strumenti indispensabili per la vita di ogni giorno e per il suo lavoro” e “Anche quando sul mercato si trovarono i prodotti finiti dell’industria, il montanaro continuò nei suoi lavori artigianali per il fatto che mancava il denaro per tali acquisti”. Sempre per necessità “Il contadino doveva essere un bravo artigiano, doveva saper costruire da sé gli attrezzi da lavoro più comuni come potevano essere le zappe, i rastrelli, i coreggiati, le gerle… Ognuno doveva riuscire a trarre dal legno quanto era indispensabile per i figli che erano sempre molto numerosi”. Per questo “Le persone più ingegnose riuscivano a costruire ciò che aveva la forma ovale o tonda, come la ‘portadóura’ che serviva per il trasporto dell’acqua o del latte… “O il ‘barijél’ e la ‘barìcã’: quest’ultima usata dai contadini, nella stagione estiva, per portare acqua potabile sul posto di lavoro”. Viene quindi ricordato che “In quanto allevatore, il contadino, oltre che falegname e carpentiere aveva imparato ad essere fabbro e maniscalco. Se, verso gli anni ’60, si fece lentamente attrarre dal progresso incipiente, l’anziano rimase saldamente attaccato a quanto aveva appreso dai suoi avi”. Così, “Le mani esperte dell’anziano artigiano continuarono a modellare la materia, realizzando degli autentici capolavori “. Poi… “Da questo tipo di artigianato semplice e primordiale, si è passati ad una lavorazione artigiana sempre più perfezionata. Era espressione – scriveva Franco Deltedesco – di un’arte genuina che distingueva una persona da un’altra, diventando spesso una gara di perfezionamento fra paesani e vicini; basta pensare ai fregi e intagli che ornavano gli oggetti, ai rilievi nelle forme per i pani di burro, agli intarsi nei collari che reggevano il campanaccio delle mucche”. Ancora: “Lo sviluppo della produzione industriale, il miglioramento delle comunicazioni e dei trasporti, il lento trasformarsi dell’economia chiusa della montagna in una modesta economia di mercato, hanno portato ad una lenta ma progressiva regressione dell’artigianato”. Tanto che “Quando poi si sono trovati sul mercato prodotti funzionali, a prezzi accessibili, il lavoro lungo, paziente e faticoso del singolo non è più stato strettamente necessario e neanche conveniente rispetto a prodotti preparati dall’industria”. “Così il pezzo unico, creato interamente dalle mani e dall’abilità dell’uomo che aveva sempre un qualche cosa di diverso dall’altro pezzo, andrà via via scomparendo”. E’ innegabile: “L’attività artigianale ha subito una profonda trasformazione verso la fine degli anni ’60: la montagna si è spopolata e, alla stessa azienda agricola montana, si è andata sostituendo un tipo di azienda familiare che ha tratto il proprio reddito non più esclusivamente dall’attività agricola che da sola era insufficiente, ma da un insieme di attività complementari ad essa, in particolare dal turismo”. Così – e concludiamo – “E’ nata un’attività artigianale diversa che però s’ispirava a quella antica. Lo sviluppo del turismo ha dato un notevole impulso all’attività edilizia ed a quelle ad essa collaterali, richiedendo un sempre maggior numero di artigiani. Ha inoltre orientato la domanda verso l’artigianato tipico. Le botteghe artigiane modernamente attrezzate per la lavorazione del legno, del ferro battuto e dei vari prodotti locali hanno dato una notevole spinta all’economia montana. Esse contribuiscono a tenere la gente legata alla terra d’origine”. E’ questo – aggiungiamo noi – è fondamentale!
**