REDAZIONE Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta arrivata in redazione dall’Associazione Non Una Di Meno di Belluno dopo il convegno organizzato proprio nel capoluogo di provincia per parlare della violenza sulle donne e il ruolo dei media.
Scriviamo questa lettera al mondo della stampa bellunese, in tutte le sue professioni. Abbiamo partecipato qualche settimana fa ad un convegno intitolato “Violenza di genere e il ruolo dei media: usiamo le parole giuste”, organizzato da Belluno Donna e finanziato dalla Regione Veneto con risorse statali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (come si legge in locandina). Il convegno è stata per noi un’occasione di apprendimento e riflessione, intorno al linguaggio da utilizzare per raccontare la violenza e, più in generale, sulla responsabilità nella scelta delle parole che hanno il potere di dare forma alla realtà e, quindi, contribuiscono a modificarla. Lo dice la filosofia che nulla esiste dove manca la parola, quindi l’assenza di parole, o l’uso sbagliato di esse, contribuiscono al mantenimento, o peggio ancora, all’aggravarsi di uno “status quo” doloroso. Ciò è vero sempre, ma ha un peso maggiore in alcuni ambiti, come quando si parla del contrasto alla violenza di genere, in cui la battaglia da fare è culturale riconoscendo il fenomeno. Quanto ha fatto, in questo senso, l’introduzione della parola “femminicidio”? Purtroppo la violenza e i femminicidi si susseguono, l’ambiente li minimizza o li disconosce: si considerano le donne come oggetti e non si riconosce la violenza delle relazioni, anche quelle non eterosessuali. Lo ha ricordato di recente Corinna De Cesare, già giornalista del Corriere della Sera, della regola delle Tre S: sesso sangue e soldi, come volàno di articoli a cui il lettore viene attratto mediante il sensazionalismo dei titoli. Durante il Convegno, la dott.ssa Giada Fregona ha esposto gli esiti di uno studio condotto sistematicamente per quattro anni sul linguaggio relativo alla violenza sulle donne usato dai principali giornali locali bellunesi, i cui risultati, purtroppo, non sono stati confortanti. La stampa nazionale non è spesso un esempio migliore: in questi giorni abbiamo infatti assistito al peggio del giornalismo, quello che calpesta il dolore e si nutre di curiosità morbosa, in occasione dell’ennesima storia da aggiungere alla conta dei femminicidi nel nostro paese. La relazione della dottoressa Fregona lo dice chiaramente: si può contribuire a costruire una cultura femminista attraverso il linguaggio, contrastando in questo modo la violenza contro le donne. Per questo la scelta delle parole è un’enorme responsabilità. Anche per quanto riguarda le vicende che sono state recentemente raccontate sulla stampa locale ci sembra che non si sia imparato molto. Si è parlato di “attenzioni non richieste” ed il condannato per violenze sul luogo di lavoro è stato definito “stangato”. Nella scelta delle citazioni dal medesimo processo alcune espressioni, seppur riportate, erano davvero poco felici. Ancora peggiore la scelta dei titoli (l’uso insistito di “palpeggiare”, ad esempio), vicenda ripetutasi in altro ambito in questi giorni. Sappiamo che spesso i titoli sono tutto ciò che del giornale viene letto, vale davvero la pena, per attirare l’attenzione, appigliarsi a bassi istinti e promuovere una cultura della prevaricazione? Il linguaggio di queste settimane ci è parso sminuire la violenza e sessualizzare la vicenda, secondo la regola di cui sopra, contribuendo ad alimentare la cultura patriarcale nella quale viviamo immersi. Da ultimo, ci pare importante anche segnalare l’uso delle immagini: perché proporre sempre la foto di una donna che si protegge? Quali messaggi implica, al di là delle parole? Ancora, perché proporre immagini che poco o nulla hanno a che fare con il contenuto? (come nel caso della recente intervista al sindaco De Pellegrin). A luglio, per la prima volta, Belluno ospiterà il Pride. Quale linguaggio verrà utilizzato per raccontarlo? Si citerà il manifesto della comunità che ha contribuito a costruire l’evento? Si racconteranno le richieste della comunità LGBTQI+? Può essere utile, in questo senso, riprendere le parole della docente Laura Nota, a proposito della stereotipizzazione attraverso le definizioni, sempre dal medesimo convegno. Noi siamo grate che tale convegno ci sia stato, ma chiediamo con forza a chi fa informazione sul nostro territorio, visto che questa lettera è diretta alle molteplici realtà che ne fanno parte, di prendersi la responsabilità delle parole che si usano. Chiediamo di approfondire le questioni, nei titoli e negli articoli, affinché si descriva la violenza di genere per ciò che è. Chiediamo di porre la giusta attenzione a quello che viene descritto e al come. Vogliamo riportare l’informazione ad avere il giusto valore, che non è quello del gossip, non è vendere notizie, ma la possibilità di creare una realtà. Chiediamo precise parole per precise questioni.
Non una di meno Belluno
*******