di Renato Bona
Il “libro “Malgari e pascoli. L’alpeggio nella provincia di Belluno edito nel 1991 a cura di Daniela Perco e valenti collaboratori dalla Libreria editrice Pilotto di Feltre” ad iniziativa della Comunità montana feltrina e del Centro per la documentazione della cultura popolare, dedica un lungo capitolo a “Latte, burro e formaggio: strumenti e tecniche tradizionali di lavorazione sul massiccio del Grappa”. Gli autori, Anita De Marco e Marco Rech partono con la puntualizzazione che sul versante nord del Massiccio del Grappa, nel territorio del comune di Seren del Grappa sono distribuite tredici malghe comunali: Reselé, Vallonera, Val dell’Albero, Prassolan, Bocchette Cima, Bocchette Mezzo, Bocchette Fondo, Val dei Pez, Lebi, Valporre Cima, Valporre Mezzo, Murelon con Busa de la neve ed ognuna di esse era ed è caratterizzata da boschi e pascoli. In alcune abitavano i malghesi che coltivavano l’orto, mandavano al pascolo le mucche e falciavano il fieno per l’inverno, in altre c’era “un unico appaltatore che si prendeva la responsabilità di molte mucche affidategli da vari contadini e le teneva al pascolo finché vi era era sufficiente, senza preoccuparsi di falciare il fieno. Nel primo caso la durata dell’alpeggio era di sei-sette mesi, nel secondo era di tre mesi, dal 1. giugno all’8 settembre. Altre notizie: per ogni malga veniva stabilito d’ufficio il numero dei capi di bestiame che vi potevano pascolare e calcolando la capienza della malga la mucca era l’unità di misura: le corrispondevano infatti due manzi o tre vitelli o sei capre; ad inizio secolo la capienza totale delle 13 malghe comunali era di 1125 capi bovini adulti. Ancora: all’interno della malga c’erano vari edifici: casón, composto da più vani: cucina, stalla, fienile, spelóncia per la conservazione del latte e del burro, casón da aria, in alternativa alla spelóncia, con le stesse funzioni; caserìn per la conservazione del formaggio, casón del fogo, dove si faceva il formaggio; casón su pilastri, da usare come stalla o altro, in alternativa a edifici in muratura; capitelli o croci, testimonianze di religiosità disseminare anche come punti di riferimento topografico. Importanti e vitali – si legge – erano poi le fosse o póse che servivano per abbeverare il bestiame. Ve n’erano in totale 41. Conclusione dell’argomento malga con la precisazione, forse scontata, che “tutta la giornata della malga ruotava intorno alle mucche. La produzione e la trasformazione del latte erano basilari non solo per garantire la sussistenza della famiglia ma anche per procurare, attraverso la commercializzazione di burro e formaggio, una pur limitata occasione di reddito”. A proposito del latte gli autori hanno scritto fra l’altro: “Giusta attenzione veniva posta a favorire per quanto possibile la maggior produzione. Bisognava anzitutto condurre le mucche a pascolare lontano da zone ricche di erbe nitrofile o di cespugli e arbusti infestanti, La flora ammoniacale doveva anzi, per regola, essere distrutta col dissodamento e la coltivazione della zona interessata, oppure con l’incalcinatura o con l’impiego di adeguate concimazioni chimiche oppure della cenere. L’erba migliore era quella ricca di trifoglio, in particolare di ‘strafói mat’ dal fiore bianco, la peggiore era quella infestata dalla ‘erba sèna’ o dal ‘lat de striga’. Ottima era l’erba brucata nel periodo dell’alpeggio, nel mese di giugno: l’abbondanza di fiori ricchi di nettare determinava non solo un aumento della produzione di latte, ma ne migliorava la qualità, rendendolo più aromatico e di conseguenza facendo più gustosi anche il burro, che acquistava un colore giallastro, e il formaggio”. Decisamente interessante anche la dettagliata illustrazione di burro, formaggio, ricotta, casata (che si faceva con il latte intero) ma… evidenti ragioni di spazio non consentono di soffermarci come avremmo voluto, sui singoli argomenti.
NELLE FOTO (riproduzioni da libro “Malgari e pascoli. L’alpeggio nella provincia di Belluno” riferibili al 1991, immagini di Adolfo Malacarne e Marco Rech, tutti i disegni di Patrizia Pizzolotto): una vacca di razza bigia (archivio Irab); malga Le Ei in comune di Lamon: Giovanni Da Rugna e Rosa Resenterra intenti alla mungitura; “sedèl”, il secchio di legno usato per la mungitura (collezione Museo etnografico provinciale di Cesiomaggiore); “col da lat” in legno, usato per filtrare il latte appena munto (collezione Museo provinciale delle tradizioni popolari di Cesiomaggiore); la filtratura del latte sul massiccio del Grappa; tessera incisa su un bacchetto di nocciolo per segnare la quantità di latte prestato; la panna affiorata viene staccata e trattenuta con uno scopino, l’operazione è definita “smaldàr”, siamo a Bocchette di Cima Grappa); Bocchette: panna lavorata col “burcio” o pigna, per ottenere il burro; centrifugazione della panna con la zangola: il burro una volta estratto viene lavorato con le mani per togliere il siero, evitando che irrancidisca, malga Le Ei di Lamon; strumenti rompicagliata definiti gioia o spin quelli di legno, violìn, chitàra o “taiatenza” quello in ferro (collezione Museo Cesiomaggiore); Giovanni Da Rugna “Nane Pierolo”, mescola la cagliata aiutandosi anche con le mani, quindi il formaggio viene pressato nei “scàtoi”, fasce di legno senza fondi e messo a scolare su un apposito piatto inclinato: siamo a Malga Le Ei di Lamon; Rosa Resenterra controlla le forme di formaggio messe a stagionare su assi di legno nel “caserìn” di Mala Le Ei: il malgaro Carlo Simioni.
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