di RENATO BONA
BELLUNO Il prof. don Gigetto De Bortoli nell’introduzione: “le immagini documento storico di vita” Il quarto capitolo del libro “Racconti bellunesi. Cultura contadina e artigiana della Val del Piave, tra Belluno e Feltre in fotografia” realizzato dal fotografo sospirolese Dino De Cian nel febbraio del 1982 con l’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali e la tipografia Piave, e presentazione di Paolo Piccolo (che ha attivamente partecipato alla ricerca), è intitolato “Lavoro per la famiglia e la vita” ed offre un’altra gradevolissima serie di immagini che, per dirla con il prof. don Gigetto De Bortoli che si è occupato dell’introduzione, confermano che “non si può comprendere veramente una popolazione, un gruppo più o meno grande i persone, reso omogeneo dalla sua storia, se non si conosce la sua civiltà materiale che è una chiave di interpretazione insostituibile: qualora venissero a mancare le testimonianze che la riguardano o la tramandano, il passato resterebbe più scuro e non conosciuto”. De Bortoli sottolineava quindi una bella realtà: “Per fortuna il Bellunese – quella meravigliosa conca che si estende dai piedi delle Vette Feltrine ai declivi delle Prealpi della Sinistra Piave – oggetto di questo studio, non ha ancora tagliato i ponti con la civiltà materiale dei secoli trascorsi”. Evidenziava poi l’impegno di Dino De Cian con il suo obiettivo, e quello di Paolo Piccolo autore delle didascalie, per presentare la vitalità attuale di questa civiltà che è sull’orlo della scomparsa: “accanitamente insaziabili di umanità, l’esperto della foto e l’esperto della solitudine di montagne, valli e animali, sono andati a scovare le persone che vivono ancora pienamente nel ritmo del tempo antico, ancora perfettamente integrate, tanto da parer ignare della truculenta civiltà contemporanea che assoterra il passato con ritmo frenetico”. E constatava che i due autori “l’hanno ancora trovato questo mondo, carico di indipendenza, di umori, di valori, di intelligenza, di mani sapienti e di pensieri acuti, che accettano o rifiutano di colpo il malcapitato ‘turista’, entrato o non entrato in sintonia con loro. E’ proprio questa sintonia – sempre secondo De Bortoli – che ha permesso a Dino De Cian di poter riprendere con una efficacia fuori dal comune, uomini e donne di oggi, ma già remotissimi, alle prese con lavori ancora validi e soddisfacenti – sul piano umano – per chi riesce ancora a farli. Di fronte a lui, questi uomini e queste donne, antichi e moderni insieme, si sono lasciti andare, si sono lasciati cogliere, nella pienezza della loro esperienza umana e tecnica”. Di seguito, non trascurava di evidenziare che: “Per non porre ostacolo di improvvisi abbagli, De Cian si è rifiutato di usare il flash. E l’obiettivo, discretissimo il più possibile, non si è lasciato sfuggire nulla. Si tratta di foto che devono essere guardate con cura. Sono un documento storico e di vita..”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Racconti Bellunesi”): tenero e dolce granoturco bollito con fagioli: cibo tradizionale ed antico che porta il curioso nome di “Paulo e Caterina” di Agnese Lise; “Pon nosélà”, grossa mela ornata di noci, “noséle” e rametti di tasso, omaggio tradizionale bellunese; Sospirolo: Albina e Antonio Viel preparano il “vin de pon”, mosto di mele; ”Far la polenta…”; Gianni Secco scriveva: “kuaranta menuti ne kone menarla…”; “ancora da “Polenta e tocio” di Secco: “de kasèr ge n e pi poki e su in malga senpre i vive…”; polenta e funghi in malga; poesia del focolare…; l’antico rito della “lissia”: bollente, naturale ed ecologica candeggina dei nonni; “mulino” familiare; Gron di Sospirolo, 1985: la famiglia Sogne; Rina, 1918; bimba e bimbo in abbigliamento ottocentesco; Emanuela; Giuseppe; meditazioni presso il “larìn”; Sartena di Santa Giustina, 1980: la freschezza del lavatoio.