di Renato Bona
“Annotazioni su figure regoliere e organizzazione dei pascoli nel Cadore” è il titolo dell’importante capitolo del libro “Malgari e pascoli. L’alpeggio nelle provincia di Belluno”, curato da Daniela Perco per la Comunità montana Feltrina ed il Centro per la documentazione della cultura popolare (contributo della Regione Veneto, stampa, per la serie Quaderni, nel 1991, della Libreria Pilotto editrice di Feltre con la locale Tipolitografia “Beato Bernardino”). L’autrice, Giuseppina Menegus, premesso che l’indagine effettuata riguardava l’alta Valle del Boite con riferimento particolare a San Vito di Cadore “la cui tradizione presenta strette analogie con quella dei paesi circostanti: Cortina, Borca e Vodo” precisa che la scelta di San Vito è dovuta alla sua conoscenza diretta di quella realtà nonché alla partecipazione della sua famiglia alle attività connesse all’alpeggio, ed è anche frutto di testimonianze orali relative a un periodo di tempo tra metà anni 20 e anni ‘80. Conclude così la sua premessa: “Mi ha guidato la curiosità di sapere quanto è rimasto nella memoria collettiva della tradizione regoliera nell’ambito del pascolo in una realtà che ora vive di turismo”. Sul patrimonio zootecnico l’autrice spiega che in Val Boite sopravvive in maniera assai discreta la pastorizia con gli ovini mentre agonizza quella con il bestiame grosso se è vero che in 30-40 anni le pecore sono dimezzate e i bovini letteralmente decimati con un particolare: capre e cavalli sono spariti del tutto. In questo quadro la realtà di Cortina appare un caso a parte visto che il patrimonio zootecnico dell’Ampezzano risulta decisamente maggiore rispetto alla Valle del Boite. Il pascolo è così articolato: a fondovalle proprietà private, prevalentemente ad uso arativo e solo secondariamente foraggero; sempre a fondovalle ‘pascoli di piano’, proprietà collettiva delle varie Regole; da 1200 a 1600 metri proprietà private adibite alla produzione di foraggio e, in piccola parte, di legname; da 1600 a 2000 metri parte della proprietà collettiva regoliera che veniva spartita a sorte tra gli aventi diritto in occasione dell’apposito comizio del 15 agosto, data in cui venivano assegnati i lotti spettanti per lo sfalcio in alta quota; da 1800 a 2200 metri proprietà collettiva adibita al pascolo di bovini, ovini e caprini, territorio molto ampio e può comprendere zone che, per motivi storici, si estendono oltre il censuario comunale (esempio i pascoli di Fiorentina e Giau, appartenenti a San Vito, i pascoli di Lerosa in Ampezzo, appartenenti a Vinigo). I pascoli d’alta quota erano i più ambiti e sovente al centro di contese come confermano le lotte tra San Vito e Cortina per quelli di Giau e le liti di Selva e Pescul con San Vito per Festornigo e Mondeval. Il marigo o caporegola è al vertice della gerarchia regoliera e le sue competenze comprendevano anche atti amministrativi. Una figura che in particolare a San Vito si è mantenuta fino agli anni ‘80 mentre è ancora esistente a Cortina. Aveva, fra gli altri, il compito di gtenere i contatti tra i pastori e i regolieri che mandavano il loro bestiame all’alpeggio e nel corso delle sue periodiche visite gli capitava, contando gli animali, di scoprire che non erano stati rispettati i patti e magari il pastore aveva accettato, senza autorizzazione, anche bovini estranei. per cui gli infliggeva una multa. I pascoli di piano: imponevano differenti modalità di conduzione e tempi nel caso di bovini ed ovini; per i primi vi era un pastore stipendiato dai membri interessati della comunità di villaggio, che nel periodo estivo conducevano giornalmente gli animali rimasti al piani nei pascoli bassi limitrofi all’abitato e riguardava solo i bovini che restavano nelle stalle per il latte; per gli ovini il pascolo di piano su svolgeva da marzo ad aprile e in autunno, prima e dopo l’alpeggio; il pastore veniva nominato a livello di frazione. I saltari: erano le guardie campestri a livello di villaggio, gerarchicamente sottoposte al marigo e duravano in carica un anno; potevano cedere l’incarico ad altri, a pagamento, in caso di necessità. Era previsto un compenso e per esempio a Chiapuzza il saltaro aveva diritto allo sfalcio di Giralba, nel pascolo piano. Fra i suoi compiti, precisati nei laudi, erano più ampi degli attuali: aveva infatti anche “la responsabilità di eseguire pignoramenti e di incassare multe, mansioni che certo lo rendevano figura sgradita e che spesso gli creavano situazioni difficili”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Malgari e pascoli. L’alpeggio nella provincia di Belluno”): la copertina del volume curato da Daniela Perco; cartina dei pascoli di San Vito di Cadore; pascoli di Cortina d’Ampezzo; Rinaldo Colli (vida) con il padre pastore, anni ‘20 (raccolta Rinaldo Colli); ancora Colli (con la pastora (ra britèra) anni ’40-’50; Angela Giustina al pascolo primaverile, San Vito di Cadore anni ‘20 (raccolta Giuseppina Menegus); il recinto (aido)per la cernita degli ovini al ritorno dall’alpeggio, San Vito di Cadore anni ‘70 (foto Bortolo De Vido); pastori a Fosses di Cortina anni ‘40-’50 (raccolta Rinaldo Colli); marchi (nòdes) per le pecore (dal libro “nodès grìes’ del 1952 conservato nell’Archivio comunale di San Vito di Cadore); prati di Rutorto sotto il Pelmo, Comune di San Vito di Cadore (foto Sisto Belli, 1980).
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