Trieste, Aosta, Biella, Savona e Cagliari sono le province più colpite dalla contrazione. A Francoforte “preferiscono” la crisi all’inflazione
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Nell’ultimo anno (maggio 2023 sullo stesso mese del 2022) i prestiti bancari alle imprese venete (società non finanziarie) sono diminuiti del 5 per cento (pari a -3,7 miliardi di euro) (vedi Tab. 1), mentre la media dei 20 Paesi dell’Eurozona, ad esempio, è aumentata del 2,6 per cento. Tra i nostri principali competitor, invece, spicca il +7,4 per cento registrato dalla Germania e il +4,5 per cento dalla Francia; solo la Spagna ha subito una contrazione (-2,8 per cento) che, comunque, è stata più contenuta della nostra (vedi Tab. 2).
Come mai in questo ultimo anno in Italia e anche in Veneto i rubinetti del credito hanno continuato a chiudersi, mentre in gran parte del resto d’Europa ciò non è avvenuto?
Gli esperti segnalano che il settore manifatturiero origina la gran parte della domanda complessiva di credito in capo alle imprese. La situazione di rallentamento dell’economia mondiale a cui si aggiunge il forte inasprimento del costo del denaro imposto in quest’ultimo anno dalla BCE avrebbero indebolito notevolmente la richiesta di liquidità. Va altresì sottolineato che nel periodo della pandemia molte imprese avevano aumentato i risparmi. Ora, che la remunerazione dei depositi è tra le più basse d’Europa e i tassi passivi superano abbondantemente il 4 per cento, tante aziende trovano più conveniente finanziarsi prelevando le risorse allocate nel proprio conto corrente.
A questi primi risultati è giunto l’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati resi disponibili dalla Banca Centrale Europea.
Il credit crunch ha colpito soprattutto le piccolissime imprese. A Francoforte “preferiscono” la crisi all’inflazione
Dal 2011 il trend dei prestiti bancari alle aziende è in costante calo; una leggera inversione di tendenza si è verificata tra i primi mesi del 2020 e settembre 2022, grazie alle garanzie pubbliche misure messe in campo dal Governo Conte 1 e Conte 2 che hanno consentito agli imprenditori di accedere al credito con maggiore facilità. Nell’ultimo anno, purtroppo, la tendenza ha cambiato segno. L’aumento dei tassi di interesse ha contribuito in misura determinante a ridurre il flusso dei prestiti alle attività economiche e a pagarne maggiormente le conseguenze sono state le piccole imprese.
E’ evidente che il ricorso all’autofinanziamento non potrà durare a lungo e con il forte rallentamento dell’economia mondiale in atto corriamo il pericolo di scivolare verso una nuova recessione. Alla luce di ciò, i ricercatori della CGIA ipotizzano che in questi mesi a Francoforte ci sia più di qualcuno che attraverso il continuo aumento del costo del denaro abbia “preferito” spingere l’Europa verso una nuova crisi economica, anziché avere una inflazione che le previsioni di fine 2022 la stimavano per l’anno in corso comunque in deciso calo e su un valore medio attorno al 6 per cento. Ovviamente è una provocazione, ma un fondo di verità c’è. Eccome.
Rovigo, Padova e Verona sono le province venete più penalizzate
In Veneto la chiusura del rubinetti del credito ha interessato, in particolar modo, le aziende di Rovigo. Nella provincia polesana tra maggio 2023 e lo stesso mese del 2022 la contrazione degli impieghi vivi è stata dell’8,7 per cento (-183,3 milioni di euro). Seguono Padova con -7,2 per cento (-958,5 milioni), Verona con il -6,8 per cento (-1,17 miliardi), Venezia con il -6,4 per cento (-697,3 milioni), Vicenza con il -4,8 per cento (686,7 milioni di euro) e Belluno con il -2,7 per cento. L’unica provincia veneta che ha registrato un risultato positivo è stata Treviso. Nella Marca la variazione è stata del +0,2 per cento (+34,3 milioni di euro) (vedi Tab. 3).
Tra le province italiane, invece, la più interessata in termini percentuali dal credit crunch che si è abbattuto sul Paese è stata Trieste. Tra maggio 2023 e lo stesso mese del 2022 il capoluogo giuliano ha segnato una riduzione degli impieghi vivi (vale a dire al netto delle sofferenze) del 15 per cento (-673,8 milioni di euro). Seguono Aosta con il -14,6 per cento (290,7 milioni), Biella con il -12,7 per cento (- 232 milioni), Savona con il -12,2 per cento (251,2 milioni) e Cagliari con il -11,6 per cento (-384,3 milioni di euro).
Banche sempre più ricche
Se il ritorno dell’inflazione ha comportato un generale impoverimento delle famiglie italiane, le banche, invece, hanno registrato risultati di bilancio straordinariamente positivi. Nel 2022, infatti, gli istituti di credito del nostro Paese hanno totalizzato, al netto delle imposte, 21,8 miliardi di euro di utili, praticamente 8 miliardi in più rispetto al 2021 (+58 per cento). Questa situazione è stata confermata anche nei primi sei mesi di quest’anno. Tri i primi gruppi bancari italiani la crescita percentuale degli utili è stata molto positiva. Solo uno, BPER BANCA, nonostante un utile netto di quasi 705 milioni di euro, ha registrato una flessione (-49,1 per cento) (vedi Tab. 4). Ovviamente non possiamo che rallegrarci di fronte a questi risultati; vuol dire che la governance di questi istituti bancari è di grande qualità. Tuttavia, è evidente che nell’ultimo anno – con tassi attivi praticati sui depositi pari allo zero virgola e quelli negativi applicati sui prestiti o sui mutui si attestano attorno al 5 per cento – la politica monetaria della BCE ha favorito gli ottimi risultati di bilancio conseguiti dagli istituti di credito. Ora ci auguriamo che questi vantaggi economici accumulati nell’ultimo anno e mezzo vengano in parte redistribuiti, riconoscendo, ad esempio, una remunerazione “dignitosa” a chi continua a tenere i propri risparmi nel conto corrente bancario.