di Renato Bona
Nel libro “L’Ospedale civile del Cadore”dello scomparso Serafino De Lorenzo, edito nel giugno 1981 per i tipi della tipografia Tiziano di Piave di Cadore, un corposo capitolo è dedicato alle epidemie, problema di grandissima attualità nel mondo per l’imperversare della pandemia da virus Covid 19. De Lorenzo spiegava in apertura che la storia delle epidemie in Cadore, come dappertutto, “non ebbe solo riflessi sanitari, ma coinvolse tutto un sistema di vita e per di più non limitato ai periodi funestati dai mali medesimi”. Infatti, “nei secoli passati le popolazioni si sentivano del tutto inermi contro i contagi, le epidemie durate anni, altre di rapido decorso, di gravi che causarono numerose vittime e di meno funeste, con pochi morti. In Cadore, per quanto se ne sa, dal Quattrocento in poi, non ebbero carattere disastroso; la più funesta si registrò nei paesi dell’Oltrechiusa e in Ampezzo ma non è noto il numero delle vittime. Altra peste nel 1563 mentre nel 1575 giungeva notizia di una grave epidemia, sempre di peste, nel limitrofo territorio del principe-vescovo di Trento e la cosa “mosse tutte le misure di prevenzione, con uno stretto controllo e con l’isolamento” ed il male non comparve in Cadore “così come per quella sopravvenuta l’anno successivo che, pure avendo investito non solamente il ducato di Milano, ma anche altri territori dell’Italia settentrionale, tra cui Venezia (in quella circostanza , morirono Tiziano e suo figlio Orazio) passò alla storia come ‘peste di san Carlo Borromeo’”. Altri eventi: il 19 gennaio 1631 cinque morti di peste in casa di Tommaso Corte, a Valle, a causa del grave morbo manifestatosi nel centro Europa e che arrivò in Lombardia al tempo della vicenda manzoniana dei “Promessi sposi” e si propagò anche in Zoldo. Sempre Serafino De Lorenzo richiamava, da un elenco di Gabriele De Sandre, il succedersi delle epidemie in Cadore: 1234: una malattia non ben specificata preceduta da un inverno rigidissimo e da carestia che molto probabilmente ne favorì il manifestarsi; nel 1348: malattia contagiosa da invasione di cavallette e da fame; 1379: peste bubbonica partita dal Friuli, che durò ben 5 anni! 1361: epidemia sulla cui natura non vi sono indicazioni; dal 1398 al 1405: sette anni di contagi che “condussero a morte le persone meno forti e altre ne lasciò permanentemente menomate”; 1430: il contagio dell’Oltrechiusa e Ampezzo; altri casi nel 1463 in Auronzo, 1465: in Comelico, 1506: a San Vito, 1510: a Ospitale, Termine e Davestra “dove la popolazione fu decimata e in considerazione dei gravi danni subiti dai tre paesi il coniglio generale della “Magnifica” decise nel 1512 di erogare un sussidio alla popolazione superstite”; va aggiunto che nel 1528 si manifestò in Comelico un “mal mazzucco” (pazzia?) di carattere contagioso. E poi: grande diffusione in tutta Europa di un male importato dall’America: la sifilide che nel XVIII secolo giunse anche in Cadore col nome di “mal francese”. Una “variante del male” fu registrata in particolare a Falcade e quindi definita “falcadina”; presto si diffuse anche in Cadore, proveniente da Longarone, e investì Rivalgo, Perarolo, Caralte tanto che dopo uno studio del medico delle miniere di Agordo, Giorgio Callegari, incaricato dalle autorità provinciali, fu costruito (ed aperto il 30 luglio 1824) nella località Noach in comune di La Valle dove funzionò per 12 anni) su ordine dell’imperatore d’Austria Francesco I, nella sua veste di sovrano del Lombardo-Veneto, un ospedale apposito per curare i colpiti dalla sifilide. Un salto nel tempo e, sempre a proposito di epidemie, siamo nel diciannovesimo secolo. Nel 1897 si registrarono ad Auronzo alcuni casi di vajolo, che colpì 50 famiglie, e così nel comune dell’Ansiei per la prima volta fu ordinata la vaccinazione cui “il 14 ottobre 1808 i cittadini furono chiamati con suono della campana, alla presenza delle autorità e del pievano”. Il 1817, ricordato come “anno della fame”: in Cadore si lamentarono diversi morti per inedia a causa del flagello che imperversò tremendo in tutto il Veneto. Casi di colera registrati tra il 1831 ed il 1865 colpirono Perarolo, Ospitale, Valle; altri casi nel 1857 e 1865. E siamo a oggi, col Covid 19 che ha presentato un conto fin qui salatissimo…
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “L’Ospedale civile del Cadore”, dello scomparso Serafino De Lorenzo): affresco di anonimo di ospedale francese gestito da monache impegnate contro le epidemie; schema anatomico-Astrologico per la pratica dei salassi efficaci per la cura di varie infermità (Bilioteca Laurentiana di Firenze); miniature del XVI secooo con medici curanti; opera di Cesare Vecellio: un incaricato della preparazione dei morti per la sepoltura, con la veste prevista dalla Repubblica veneta; nella pala d’altare della arcidiaconale di Pieve di Cadore con Madonna e Bimbo con i santi Sebastiano e Rocco, attribuita dapprima a Cesare Vecellio poi al Tiziano, San Rocco mostra un’ulcera nella coscia, ma la peste si manifesta con un bubbone o all’inguine o sotto un’ascella (Circolo culturale cadorino).