di Renato Bona
BELLUNO Le stagioni e le loro caratterizzazioni costituiscono l’ultimo capitolo del prezioso ed agevole opuscolo (così lo aveva definito l’assessore comunitario alla cultura, sport e turismo, Luigino Boito) stampato da Grafiche Antiga di Cornuda nel giugno del 1990 ad iniziativa della Comunità montana bellunese, offerto ai Comuni e alle Pro Loco “per favorire e sostenere il turismo nella nostra bella vallata”. Partiamo dall’autunno che, secondo l’estensore dei testi (il compianto prof. Bartolomeo Zanenga) “Su queste montagne può essere considerata la stagione più bella”. Perché? “E’ il tempo in cui il bosco s’accende con le macchie color oro vecchio dei larici, la prima neve incanutisce le cime dei monti con una spruzzata sbarazzina e passeggera, il cielo si riempie d’azzurro intenso: il ‘Settembre bellunese’. Ma anche l’ottobre e il novembre. Si diffonde dai tini l’odore asprigno del mosto e le caldarroste esalano profumi invitanti. San Martino ritorna a dividere il mantello e a benedire la gente che diventa più buona nel ricordo dei morti. Stagione dolce, come le caldarroste, appunto, e il mosto ambrato del Cartizze. La stagione dei funghi, delle noci, delle schidionate che girano leste sulle braci del ‘larìn’ mentre nel paiolo fuma la polenta soda della nuova farina del mais maturato a lungo sui fusti nodosi”. Segue l’inverno quando “vengono lente lente dal mare cariche di salsedine. Varcano il crinale della catena prealpina estesa tra il Col Faverghera e Monte Cesén, gravano immobili sulla conca. E’ la stagione della neve che incomincia a cadere, sempre più fitta, quando i vapori dell’Adriartico, raddensatisi in nubi grigiastre, sentono il freddo pungente che scende già dalle valli aperte del Piave e del Cordevole… L’atmosfera di serena tranquillità si diffonde nei cuori di tutti, come per un magico invito al ritorno nelle plaghe beate dell’infanzia. Poi ci sono le considerazioni di carattere climatico, il grande riposo della natura in attesa del risveglio primaverile, le riserve d’acqua per la prossima estate e, soprattutto, il sole che viene puntuale, dopo ogni nevicata, lucente, carico di raggi ultravioletti, centuplicati dal riflesso del manto cristallino: ‘Le nevi del Nord, il sole del Mediterraneo’, come recita un motto turistico dolomitico”. Torna la primavera e Zanenga ricorda: “…Sembra strano, ma è così: in questa plaga montana, almeno a fondovalle, la primavera incomincia in anticipo con le prime piogge dopo le ultime nevi: ecco timida la prima violetta, in quell’angolo riparato e solatio. E’ il 20 gennaio, San Sebastiano. Il proverbio recita da tempo immemorabile: ‘San Bastian co la viola in man’. E il proverbio non falla, una viola c’è sempre, per chi sa cercare. E c’è primavera; frizzante, sia pure, con raffiche improvvise di vento e di pioggia che fanno fuggire la gente sotto i portici in città, negli androni riparati fuorivia, a ridosso di un pagliaio che si trova nei campi. Ma il cielo si sgombra e le montagne vengono fuori limpide, terse, i pascoli immacolati, le crode pulite. Dopo San Sebastiano le viole si rincantucciano un poco, infreddolite. Ma in tutti i prati erompe il miracolo improvviso dei bucaneve in attesa dei narcisi che col loro stordente profumo invadono più tardi i pendii di Pian di Coltura, sopra Lentiai. Ed eccoci all’estate che “da queste parti non arriva mai brutalmente a bruciare gli acciottolati di paese, impolverare le strade di campagna, ardere le stoppie nei campi. L’afa che in città fa impallidire la gente in fuga verso improbabili refrigeri d’ombra, qui è solo finzione letteraria”. Infatti: “Nubi serene solcano i cieli estivi della Val Belluna e zeffiri leggeri mantengono sgombra l’aria da ogni foschia. E’ il meriggio della natura, quando il solleone fa sentire più forte la forza vivificatrice dei suoi raggi. Ed è anche il rigoglio delle messi e delle verzure là dove si snoda il refrigerante nastro azzurro-argento della Piave”. Estate: “La stagione che appaga ogni desiderio di sosta tranquilla come annota il poeta: ‘Andove, turchina, passa la Piàve l’é tut che incanta e invida a cantar’”. Dopo la poetica descrizione delle stagioni, Bartolomeo Zanenga non poteva non ricordare che “la civiltà di una terra e di una gente – non si tratta solo di ecologia – si commisura alla qualità della flora che esse sanno naturalmente esprimere, alle specie faunistiche di cui forniscono l’habitat naturale” e sottolineare che: “Dalle piagge solatìe della Val Belluna ai declivi collinati del Visentin, Col de Moi, Monte Zovo, Monte Cesén; dai dolci rilievi ondulati là dove il Piave placa la sua correntia uscendo dalle strette montane fuori nella pianura, tra Segusino e Valdobbiadene. Ai dirupi dolomitici dei Monti del Sole, della Schiara, del Pelf: là è il rigoglio festante di essenze vitali, faggi, quercie, frassini, orni, carpini, abeti, larici, pini. Qua e là il corniolo tenace, ovunque l’avellana prolifica. E poi filati di siepi: le more, i lamponi, e il pruno e il crespino… E poi tutti i fiori che esplodono in macchie estese a vista d’occhio o si acquattano a difesa negli anfratti solitari: nei luoghi freschi e ombrosi ti affascina il trionfante accostamento rosso cupo-giallo oro della regale ‘scarpetta della Madonna’ il Cypripedium Calceolus di Linneo e poi il giglio della carniola, la famiglie delle primule, la profumata nigritella il raponzolo, la stella alpina, le violette primaverili delle siepi, i ciclamini dei boschi, i bottoncini dorati delle margherite e le roselline di macchia e il biancospino, la candida ninfea… quanto alla fauna, c’è ovviamente quella tipica della montagna dolomitica il camoscio, il capriolo, il gallo cedrone, il forcello, il francolino, fagiano, coturnice, pernice, l’intera corte di uccelli di passo come le beccacce poi la lepre, il ghiro, la stridula marmotta, tasso, porcospino il baldanzoso scoiattolo, in cielo la pojana, talora l’aquila reale. Per concludere e senza nulla trascurare il prof. Zanenga evidenzia fra l’altro che: “In poche altre parti del mondo dolomitico, come nelle terre comprese entro i confini amministrativi della Comunità montana bellunese, sport e turismo sanno divenire opportunamente l’un l’altro complementari…”.
NELLE FOTO (immagini-riproduzioni di M. e G. De Biasi, De Santi, Ghedina, Charles, R. Ubaux, Padovan, Argenta, G. Pezza, I. D’Incà, dall’opuscolo “Comunità montana bellunese”): narcisi a Pianture di Lentiai; tra i profumi di erbe sfalciate; tavolozza d’autunno; magico inverno; giglio rosso di San Giovanni; genzianella; erica scopina; la Carpenada di Belluno; gallo cedrone; la pojana; scoiattolo; capriolo; cascata della Soffia a Sospirolo; agriturismo a cavallo; lago del Mis; stadio del fondo a Pian Longhi in Nevegal.