L’attuale situazione conseguente alla diffusione del Corona Virus con i molteplici problemi che ne derivano offre il destro per una rilettura del “Dizionario Storico-Artistico-Letterario Bellunese” di Florio Miari, stampato dalla tipografia Francesco Deliberali e postato sul sito books.google.it. con l’indicazione che una copia era stata donata il 5 novembre 1843 a “Monsignore illustrissimo et reverendissimo Antonio Gava vescovo di Belluno e di Feltre prelato domestico assistente al soglio pontificio…” in occasione dell’“auspicatissimo ingresso a questa sede vescovile”, anche per illustrargli, per capitoli, la storia di Belluno. Il dono era degli “Umilissimi obbligatissimi servidori componenti la congregazione municipale: nobile co. Antonio Agosti, Cav del Cristo, podestà; Angelo Dott. Sperti, Cav. di S. Silvestro; Marino Pagani; Nob. Giovanni de Sergnano; Nob. Jacopo Cav. de Bertoldi, assessori; Nob. Dott. Gio. Pagani Cesa, Cav. del Cristo, segretario. Prima, tuttavia, segnaliamo una iniziativa che, a differenza di quanto si registra oggi con la quasi totale soppressione delle messe (e non solo) fu attuata nel 1435 quando infieriva nella città di Belluno la peste e “a spese del consiglio de’ nobili fu istituita una messa cotidiana all’altare de’ santi Fabiano e Sebastiano nella chiesa cattedrale onde implorarne la sanità”. Ecco i passaggi del “Dizionario” che ricordano come il 1348 fu anno fecondo di disgrazie in quasi tutta Italia: “Oltre a terremoti ed altri mali, fuvvi una grande pestilenza nel Belluno, per cui al tempo dello storico Piloni vigeva ancora il proverbio che ‘bisognava guardarsi dalle disgrazie del 48’. Clemente Miari nella sua cronaca c’indica un’epidemia pestilenziale, che l’anno 1398 regnava in questa nostra regione. Il Piloni ricorda una pestilenza nel luglio 1413, per cui venivano dopo quest’epoca esentati dalle pubbliche gravezze quelli che si portavano ad abitare in Belluno; ed altro contagio riferisce essersi manifestato in Zoldo nel 1503. La peste si mostrò ancora nel 1426, e si rinnovò dopo un decennio, per cui il consiglio prese parte d’instituire una cappella nel duomo ai ss. Fabiano e Sebastiano, la quale si compì l’anno 1439; e non molto dopo il bellunese con la città, se ne videro nuovamente infestati. La chiesa di s. Rocco nel Campitello, venne innalzata in seguito da parte del consiglio 1530, onde intercedere la liberazione dalla pestilenza che allora infieriva, e che aveva fatti perdere tra’ cittadini più di 1000 individui. Finalmente nel marzo 1631 la peste dilatossi nel capitanato di Zoldo, nel qual tempo i bellunesi, per esserne preservati, instituirono una processione che nel giorno degl’Innocenti passava dalla cattedrale alla chiesa di s. Rocco in memoria che nello stesso giorno era terminata nel zoldiano la peste”. Dal canto suo il sito agordo.com. premesso che nei secoli XV e XVI il territorio agordino fu colpito da una serie di eventi calamitosi, naturali e non, e accennato al furioso incendio che nel 1430 distrusse quasi completamente Agordo, sottolinea che “La peste colpì gli abitanti a più riprese: nel 1435, nel 1482, nel 1529, nel 1547, nel 1564, nel 1631. L’ultimo episodio di peste risale alla prima metà dell’Ottocento, con la ‘falcadina’ chiamata così dal luogo dove prima si diffuse”. Non possiamo omettere un richiamo alla pregevole “Storia breve dell’Agordino”, opera dello storico prof. don Ferdinando Tamis (Tipografia Piave Belluno, marzo 1989), che al capitolo peste nel Bellunese dedica ben quattro fitte pagine per dire fra l’altro che nel 1435 l’epidemia infierì crudelmente e per molti mesi non si era trovato rimedio alcuno finché un giorno di settembre un chierico del contado di Alpago (da qui si comprende come si sia divulgata la devozione a san Sebastiano, considerato il protettore contro le pestilenze – ndr.) spiegò al podestà di Cividale (Belluno), Magdaleno Contarini di aver avuto la visione di qualcuno che gli disse che se il Comune avesse fatto edificare una cappella con un altare in onore dei santi Fabiano e Sebastiano, intercessori con Dio, la pestilenza sarebbe cessata. E così fu. Tamis riferisce poi di altri eventi pestilenziali: grave quello di Mel del 1482, Belluno sul finire del 1527 e l’anno successivo… Agordino: a Livinallongo la peste infierì talmente che secondo lo storico Isidoro Vallazza si salvarono soltanto tre persone mentre ad Agordo nel villaggio di Rif rimase incolume e superstite un solo bambino. Scrive quindi, Tamis, che secondo il medico Giovanni Colle la peste infierì di nuovo ad Agordo nel 1547 e durò due anni spopolandolo interamente; nel villaggio di Celat di Vallada morirono 34 persone (fu in quella occasione che venne decisa l’erezione della chiesa di San Rocco). Concludiamo dicendo che vi furono altre epidemie e che nel novembre 1822 l’imperatore Francesco I ordinò la costruzione di un ospedale nel comune di La Valle, a spese dello stato, per curarvi i colpiti dal male; fu nomina direttore Giuseppe Vallenzasca al quale si deve il trattato sulla “Falcadina”, pubblicato a Venezia nel 1840; dai suoi scritti attinsero quanti si occuparono della malattia. NELLE FOTO (Wikipedia e Google): il frontespizio del “Dizionario” di Florio Miari; la pagina in cui si richiama la pestilenza del 1348; la Congregazione municipale si rivolge al nuovo Vescovo; lo storico agordino don Ferdinando Tamis; la copertina della sua “Storia breve dell’Agordino” con “Donna della montagna”, disegno di Augusto Murer; l’altare dei santi Fabiano e Sebastiano, di Cesare Vecellio, nel Duomo di Belluno.