di Renato Bona
Nel luglio 1997 l’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali guidato dal prof. don Sergio Sacco dava alle stampe (patrocinio dei cinque comuni dell’epoca: Chies, Farra, Pieve, Puos, Tambre, e dalla Comunità montana dell’Alpago, contributo della ditta S.B. di Peterle Attilio srl, della Türenwerk di Soccher, e dell’Azienda regionale foreste del Veneto) con la tipografia Piave il libro “Colori e profumi dell’Alpago e del Cansiglio” di Serena Dal Borgo e Claudio Rossi, scrittrice la prima, fotografo il secondo. A chi stende queste note la pubblicazione è piaciuta molto e verrebbe facile parlarne bene come merita. Ma per fugare dubbi di giudizio positivo a prescindere, per le origini pagote che discendono da papà Eugenio e da nonno Beniamino e sua moglie, nonna Antonia Bortoluzzi, ci viene agevole proporre quanto scritto nella prefazione di don Sacco: “E’ sempre una soddisfazione per l’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali poter offrire ai suoi lettori una pubblicazione caratterizzata dalla bellezza. E parlando di bellezza, si intende non soltanto quella tipografica, risultante dalla indovinata combinazione di carta, di caratteri e di immagini, ma si parla di bellezza per i suoi contenuti”. E – insiste – nel caso del volume di Serena Dal Borgo e di Claudio Rossi i contenuti sono di tutto rispetto. Aerei, poetici, a tratti misteriosi, sono i racconti, corti e folgoranti di Serena Dal Borgo, Impressionistiche, precise, puntuali poetiche e, nel contempo, documentarie sono le immagini scattate da Claudio Rossi”. Ne consegue che: “L’insieme si sfoglia e si legge con piacere. Alla fine rimane nella mente e nel cuore del lettore una piacevole armonia di colori e di profumi che, meglio di tanti discorsi, rendono l’anima dell’amata conca alpagota”. Se non bastasse, ecco di seguito, e in sintesi, il giudizio di due”personaggi”: Danilo Fullin del Corriere della Sera e lo scrittore Giorgio Saviane, i cui cognomi denotano origini pagote. Il primo: “Da bambino trascorrevo più tempo in Alpago, dai miei nonni, che nella città dove ero nato e dove vivevo. E quando raccontavo ai miei compagni di giochi dov’ero stato in vacanza, grande era il mio stupore davanti al fatto che non conoscessero l’Alpago. E allora io a parlare loro delle ‘mie’ montagne, del ‘mio’ bosco, del ‘mio’ lago, dei ‘miei’ prati, dei ‘miei’ sentieri, delle ‘mie’ notti stellate e di tutto quanto era legato alla ‘mia’ terra, visto con gli occhi e con il cuore di un bambino… Oggi quegli ex compagni di giochi sono diventati adulti. E anche la ‘mia’ terra è molto cambiata: la ghiaia delle strade ha lasciato il posto all’asfalto, molte vecchie abitazioni sono diventate moderne o sono addirittura state abbandonate, le stalle si sono svuotate dei loro animali; perfino i ‘marùc’ tutti allineati nei prati sono diventati una rarità. Ma vorrei che fossero proprio loro, i miei amici dì infanzia, i primi a leggere le pagine di questo libro. Qui dentro è racchiusa l’essenza, la magia di quelle sensazioni che cercavo di trasmettere loro, compreso quello che le parole non riuscivano a spiegare ma che veniva dal profondo del cuore. Ecco, ci sono i colori del bosco che parlano, i rumori che diventano suoni, i profumi che si rincorrono, i silenzi che sui trasformano in musica, i personaggi antichi e moderni che sembrano usciti dalle fiabe, gli animali che si raccontano, le storie vere e le leggende che si confondono e si mescolano fra loro…”. Così Saviane: “Visto che la mia famiglia proviene dall’Alpago, mi chiedono di fare una prefazioncina sullo strano libro di Serena Dal Borgo. Strano, ma direi meglio fatato perché i personaggi sono tutti incantati in un favolismo apparentemente elementare: scultoreo però. Credi che molti scrittori vorrebbero essere così disarmati e nello stesso tempo acuti come in ‘Toni Buio’ e in ‘Schei, schei’. O forse no, lo scrittore non osa essere quasi niente. Ma è in questo niente l’essenza d’arte )sì, arte) che trasuda dalle righe magiche e umili. Desidererei scrivere di più, ma non vorrei turbare la semplicità modesta, attuale e vera, pregio maggiore degli aneddoti di Serena Dal Borgo, che mi hanno fatto ricordare il sapore dei miei primissimi racconti”. In chiusura – detto che il libro di oltre cento pagine è articolato nei seguenti capitoli: Inizio, Il colore, I deltaplani, La strada dei morti, Pesci del lago, Piove, Albo ecclesiastico, Stazione per l’Alpago, Panoramica, Schèi, schèi, schèi…, Nobildonna, Toni Buio, Statua, Pecos Bill, Volpe, Giostra di profumi, Odori, Taurus, La signora Aurora, L’incendio di Pieve, Folletti, Ricordi (tre), Gigia, L’attore, Brioso e gli Elfi, Le parole pietrose, Inverno, La danza dei colori – ci soffermiamo sinteticamente sul capitolo “L’incendio di Pieve” con un toccante ricordo: “Io ero un bambino quando ho visto Pieve e la mia casa bruciare…”. I tedeschi volevano i “bandit” e minacciavano di bruciare tutto. “Avevamo tanta paura. Siamo scappati tutti in chiesa. Don Apollonio era andato a Tignes e non era ancora tornato. Acuti pensieri di smarrimento e solitudine ci scuotevano sino a provocare un tremore nel nostro corpo. I tedeschi devastarono, minacciarono e ci spinsero qua e là per far vedere la loro autorità e il loro potere. E poi fiamme, urla, dolore per aver perso ogni cosa… C’era poco e niente da mangiare e dopo quelle fiamme niente più casa: che disperazione…”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Colori e profumi dell’Alpago e del Cansiglio”): la copertina del volume edito da Ibrsc; l’autrice, Serena Dal Borgo; il fotografo Claudio Rossi; dintorni di Tambre persi in verdi e grigi; gruppo di finestre in solitudine; pescando: Lago di Santa Croce; sorride, Chies d’Alpago; melanconico mulino di Puos d’Alpago; Farra d’Alpago: la Corte dei Pagni; Toni Buio; Gesù scolpito dal Brustolon; tra forme e forme a Valmenera_ un autentico “tesoro”; la narratrice; Pieve d’Alpago: nel cuore del terrore il 25 agosto 1944; Pianture: una nonna; Sant’Anna: ha sfidato il tempo e le sue ingiurie…