di RENATO BONA
Due grandi della cultura e storia bellunese (e non solo), entrambi scomparsi: Ferruccio Vendramini ed Augusto Murer, insieme per “La rivolta dei contadini bellunesi del 1800”, pregevolissimo libro edito nel dicembre 1972 dalla Libreria Moderna Walter Pilotto di Feltre (Tipo Lito-Offset Agordina di Agordo). I testi, frutto di una accurata ricerca di Vendramini, sono impreziositi da 5 disegni (uno riprodotto anche nella copertina del volume) che illustrano le fasi della “storica” rivolta contadina. In prefazione, a firma di Francesco Franchi, la ricostruzione di una ragione: “Se non mantenerà ciò che promise, ancor venirà”, giuramento dei rivoltosi in data 17 marzo 1800. Poi Franchi scriveva, fra l’altro: “…Risulta evidente che quest’opera si propone cone strumento critico e quindi politico, implicato dunque in una precisa scelta morale, per analizzare non tanto eventi passati quanto i dati attuali di una società locale che può tuttora individuare molti presupposti della sua iniqua disorganizzazione in un passato ricco di insegnamenti e di evidenze storiche”. Ed aggiungeva: “…La classse agricola bellunese ha sofferto tutti i danni derivanti dall’espropriazione collettiva senza avere nessuno dei vantaggi della appropriazione individuale: ed è anche in certo modo effetto della sconfitta di quella rivolta contadina che voleva, in ultima analisi, compiere una razionalizzazione delle strutture produttive di cui i proprietari si dimostravano incapaci, e che avrebbe favorito tutta la società nel suo complesso, compresi i feudatari”, per concludere: “La parola che i contadini si diedero dopo la rivolta, lasciando la città che avevano occupato, di tornare ancora se il rispetto promesso dai nobili ai diritti del popolo non fosse stato mantenuto, è ancora valida: agli eredi ideali di quegli oppressi il compito di attuarla, e stavolta fino alle sue estreme e vittoriose conseguenze, contro gli eredi politici ed economici di quegli oppressori. Perché il popolo del lavoro, anche tra queste montagne, viene da lontano e va lontano”. Dettagliando nei capitoli “La restaurazione austriaca”, “Motivi della rivolta”, “Prima giornata”, “Seconda giornata”, “Terza giornata”, “Quarta giornata”, “Quinta giornata”, “Le richieste dei rivoltosi”, “L’arresto dei capi”, “La fine della rivolta”, l’introduzione evidenzia che “L’importanza della rivolta dei territori bellunesi (marzo 1800) non sta solo nel gran numero di persone, che, provenienti dai vari distretti, invasero la città, ma anche e soprattutto nel modo in cui si svolsero i fatti e nel significato umano, politico e sociale dell’intera vicenda” e precisa che: “Il documento principale che riguarda la rivolta è un manoscritto conservato nella Biblioteca civica di Belluno con il numero 924: ‘Processo storico relativo all’ingresso dei contadini nella città di Belluno’. La firma di chi lo compose manualmente è quella di Domenico Fantuzzi. E’ una inchiesta preliminare sugli avvenimenti condotta probabilmente dal giudice Brocchi, il quale, membro del tribunale revisorio di Venezia, venne a Belluno per le indagini. Le pagine finali con le note delle spese per gli alimenti requisiti dai rivoltosi, portano la data del 17 ottobre1800. Dunque l’intera inchiesta si concluse dopo sette mesi dagli avvenimenti. La parte più importante del manoscritto è la prima, che fa la cronistoria delle giornate di marzo e riporta la corrispondenza epistolare tra gli insorti e i Consoli della città…”. Infine il commento di un articolista che puntualizzava: “… L’Andriolo, il Bertoldi e il De Mio Antonio Bianca, perché autori principali dell’insurrezione furono liberati soltanto il 15 gennaio 1801, cioè il giorno prima che gli austriaci partissero da Treviso, per far luogo alle truppe di Napoleone. Dovettero pertanto la loro salvezza all’invasore francese nel Veneto”. Quali erano le richieste dei rivoltosi, articolate in 14 capitoli?”: “che non venghi estratta da questo Territorio e Distretto abbracciato da questa Città, biada nè in poca, nè in molta quantità e di nessun genere dal giorno della pubblicazione del presente, senza la firma di destinata persona per unico oggetto della sussistenza del popolo, riservati però li casi di R.I. Commissione”; “che a comodo universale della popolazione nel termine più ristretto sia eretto, ed aperto un pubblico fontico in questa Città e dalla stessa provveduto con obbligo del Territorio per le condotte previo pagamento”; “che rapporto alla vendita del sorgo Turco di questa Città e Territorio sia per sei mesi dalla esibizione di questa capitolazione fissato, ed inalterabile il prezzo di L 26 per sacco, ed in ragion di sacco”; “li commestibili seguenti non possano essere venduti oltre il tassato prezzo segnato dalla presente tariffa: li vitelli vivi alla libbra L 7, formaggio d’armenta stagionato 14, formaggio di pecora 18, buttiro 1, la puina secca 6, il capo di latte, alla mezza, 2, il latte 1, li uccelli l’uno 6, le rane l’una 6, li tordi 2, li ovi per cadauno 6, la gallina 1, il pesce poi, genere di fortuna, ed altri generi, che abbracciati non sono nel catalogo presente saranno con la proporzionata equità venduti”; “siccome cerca questo Territorio una generale composizione con la Città stessa e sopra l’argomento del dazio del bestiame, non volendo offender in nessun conto la pendenza esistente al Regio Imperial Governo, dalla Città medesima col mezzo di formale rinuncia, resti abolito in ogni sua parte il dazio stesso” che li Territoriali possano vendere in ogni tempo il suo vino nazionale”; “che nessun Nobile di questa Città possa levar l’incanto, nessuno de’ dazi, né con la propria rappresentanza, nè col mezzo di sostituta persona”; “sopra il dazio vino per non indebolire il patrimonio di questa Città, sebbene ci opprime l’imposta per le sue conseguenze, ci consentiamo che sia minorato per metà, cioè a sole lire dieci per botte e non più, eccettuata però la Città, e senza alcun altro aggravio, pagata la segnata di L 10 al Daziario, che a tal oggetto sarà destinato, resti libera la vendita a comodo di tutti”; “che li esattori per contro gravezze, ed altri dazi della Città stessa dopo il periodo d’anni dieci in avvenire non possano più molestarci per li supposti debiti territoriali”; “li pagamenti che si pretendono da’ Nobili scrivani per li mancamenti in condur legna e grassina alla Piazza, e portar commestibili alla vendita, come questo rende a solo profitto de’ Scrivani medesimi, e bene spesso accordano il preteso pagamento, e dispensano li villici dall’obbligo non necessario, questo dovrà intendersi per sempre annullato”; “che restino in potere delle rispettive Comunità le pesche e barche di ragione di questa Città, e restino libere”; “che per il pagamento degli atti notarili, civili, ed onorari, sia osservata la tariffa dell’epoca 1796”: “le revisioni che dall’Officio di sanità vengono praticate sopra cadaveri queste non abbiano ad esigere che a norma de’ statuti sul proposito”; infine: “riatterà il Territorio con li metodi ordinari le pubbliche strade senza però avere alcun aggravio né spesa di sorte alcuna per la visita delle medesime”.
NELLE FOTO (archivio Renato Bona e riproduzioni dal libro “La rivolta dei contadini bellunesi nel 1800”): la copertina della pubblicazione; l’autore, lo storico Ferruccio Vendramini; il maestro Augusto Murer, autore dei cinque disegni che impreziosiscono il volume; riunione dei contadini nelle cave; ingresso dei rivoltosi a Belluno; punizione dei facinorosi; i rivoltosi in carcere; morte dell’“Userta” (lucertola): si tratterebbe di Desiderio Manfroi, mortalmente ferito in uno scontro a fuoco con truppe austriache; ad Agordo la tradizione popolare lo ricorda come un brigante, o contrabbandiere o “bravo” della potente famiglia Crotta, in città c’è ancora un viottolo col nome di Userta perché vi sorge l’edificio dal quale il ribelle avrebbe sparato ai soldati.