REDAZIONE Il 26 aprile di 37 anni fa si verificò nella centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, il più grave incidente della storia, causato da una serie incredibile di errori e di infrazioni procedurali, in un sistema di per sé tecnologicamente vulnerabile. L’incidente si verificò durante un test a bassa potenza effettuato sul reattore n.4 che andò fuori controllo e portò alla distruzione del nocciolo del reattore ed al verificarsi di una prima esplosione con violenta fuoriuscita di materiale incandescente e di una seconda esplosione accompagnata da fuoriuscita di combustibile e grafite. Gli edifici furono gravemente danneggiati e lo scoperchiamento del reattore rese accessibile all’aria la grafite calda tanto da provocare la combustione di tale materiale.
Il reattore n. 4 della centrale nucleare di Chernobyl dopo l’incidente
Dal momento dello scoperchiamento del reattore e del suo edificio esterno iniziò il rilascio nell’ambiente di una notevolissima quantità di nuclidi radioattivi sia volatili che solidi [1]. Più di 100 elementiradioattivi furono rilasciati in atmosfera, la maggior parte dei quali erano a vita breve e sono decaduti molto rapidamente. Lo Iodio-131 (I-131), lo Stronzio-90 (Sr-90) ed il Cesio-137 (Cs-137) sono gli elementi più pericolosi che sono stati rilasciati. Essi hanno un tempo di dimezzamento fisico (tempo necessario perché la quantità di una sostanza si riduca della metà) pari rispettivamente a 8 giorni, 29 anni e 30 anni.
Lo Sr-90 ed il Cs-137 sono quindi ancora oggi presenti. Lo I-131 può provocare tumori alla tiroide, lo Sr-90 può indurre la leucemia, mentre il Cs-137 si distribuisce in tutto il corpo e può danneggiare organi come il fegato e la milza.
LA CONTAMINAZIONE RADIOATTIVA IN ITALIA
Durante i 10 giorni della durata del rilascio dei materiali radioattivi il vento cambiò spesso direzione girando praticamente di 360° ed investendo vari territori dell’Europa e del mondo. In Italia il primo allarme dell’arrivo della nube radioattiva fu dato la mattina del 30 aprile 1986 dal Centro Comunitario di Ricerca di Ispra (VA) che segnalò un aumento, a partire dalle ore 6, della radioattività in aria a livello del suolo. La Regione Marche venne investita dalla nube radioattiva proveniente da Chernobyl, il giorno successivo 1° maggio, come si può vedere dalla simulazione delle traiettorie seguite in Europa dalla nube radioattiva a seguito dell’incidente di Chernobyl, effettuata molti anni dopo dall’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare Francese (IRSN) e visionabile in rete al seguente link: https://www.irsn.fr/en/publications/thematic-safety/chernobyl/pages/the-chernobyl-plume.aspx. I livelli della contaminazione al suolo dei radionuclidi sono determinati sia dalla quantità dei radionuclidi presenti nella nube sia in modo rilevante dalla concomitante presenza di precipitazioni atmosferiche. In quei giorni ci furono diversi eventi piovosi che produssero aree ad alta contaminazione, anche a distanze notevolmente lontane dall’impianto nucleare. Dalla mappa della contaminazione da Cs-137 in Italia riportata nell’immagine sottostante si possono osservare 3 zone con i livelli più elevati di contaminazione al suolo, pari a 40 kiloBecquerel/m2 (kBq/m2): la prima zona è quella situata a cavallo della Dora Baltea, vicino ad Ivrea, la seconda zona a cavallo del ramo destro del lago di Como e la terza zona si estende nella zona dolomitica dell’alto Piave, nel Veneto ed in Friuli [3]. Come è possibile vedere dalla mappa, le Marche sono state interessate, invece, da livelli di contaminazione al suolo di Cs-137 molto più bassi con livelli al massimo pari ad alcuni kBq/m2.
mappa della concentrazione di attività al suolo di Cs-137 in Italia nel 1986
LA GESTIONE DELL’EMERGENZA IN ITALIA
L’Italia si trovò allora del tutto impreparata, così come altri paesi europei, ad affrontare la situazione a causa della mancanza di un piano nazionale per affrontare le emergenze nucleari, della mancanza di livelli di riferimento di dose primari e livelli derivati idonei nel caso di fallout radioattivo ed anche di laboratori in grado di raccogliere e misurare campioni rappresentativi su tutto il territorio nazionale. Il coordinamento dei dati sperimentali venne effettuato dall’Ente Nazionale per l’Energia Atomica/Dipartimento Sicurezza e Protezione (ENEA/DISP). Nei casi frequenti di particolare carenza di informazioni radiometriche relative ad alcune aree del territorio squadre dei Vigili del Fuoco o dell’ENEA/DISP provvederono alla raccolta dei campioni che vennero successivamente misurati in uno dei laboratori nazionali (presso ENEA, ENEA/DISP, ISS, VVFF, etc.). A partire dal luglio 1986 il sistema di organizzazione dei prelievi e delle misure venne ristrutturato, prevedendo l’esistenza di 2 livelli [4]. Il primo livello era costituito dall’Osservatorio Nazionale che aveva il compito di seguire su scala nazionale l’evoluzione temporale della contaminazione in un limitato numero di matrici significative. Il secondo livello era costituito da laboratori distribuiti sul territorio nazionale, principalmente presso i Servizi di Fisica Sanitaria degli Ospedali, con il compito di seguire la contaminazione di tutte le matrici alimentari rilevanti per la dieta italiana.
Tratto dal sito ARPA Marche : https://www.arpa.marche.it/notizie-2021/883-26-04-2021-il-controllo-della-radioattivita-ambientale-nelle-marche-dall-incidente-nucleare-di-chernobyl-ad-oggi
Chernobyl – ricaduta radioattiva La Valle Agordina a seguito fall out del 26 aprile 1986