Negli ultimi due anni l’inflazione si è abbattuta sui conti correnti anche dei veneti con la forza di una patrimoniale. Al netto dei nuclei che hanno trasferito una parte dei propri risparmi nell’acquisto di titoli di Stato, la stragrande maggioranza ha subito gli effetti negativi della perdita di potere d’acquisto indotta dal fortissimo aumento dei prezzi registrato nel 2022 e nel 2023; nel Veneto questo incremento è stato pari al +14,5 per cento. Nell’ipotesi che le consistenze dei depositi bancari riferiti al 31 dicembre 2021 siano rimaste le stesse anche negli anni successivi (complessivamente pari a 103,8 miliardi di euro), si stima che le famiglie venete abbiano subito una “decurtazione” media dei propri risparmi di 7.121euro. Solo il Trentino Altro Adige con 9.220 euro e la Lombardia con 7.432 hanno registrato una perdita del potere d’acquisto medio per famiglia superiore alla nostra (vedi Tab. 1). A livello provinciale, invece, la contrazione più elevata in Veneto si sarebbe registrata a Treviso con un importo medio per deposito bancario pari a 7.817 euro, a Padova con 7.519 euro e a Vicenza con 7.309 euro (vedi Tab. 2). A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Senza contare gli effetti delle patrimoniali….“vere”
Sebbene l’Imu sull’abitazione principale sia stata abolita nel 2013, le imposte patrimoniali che continuano a gravare sugli italiani garantiscono alle casse dello Stato quasi 50 miliardi di euro l’anno: per la precisione 49,8. Un importo, relativo al 2022, che valeva 2,6 punti di Pil. Un’incidenza che, rispetto al 1990, è addirittura raddoppiata (vedi Graf. 1). Complessivamente, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, questa tipologia di prelievo sui beni patrimoniali (siano essi mobili, immobili o finanziari) è composta da una decina di voci.
Esse sono:
l’Imu/Tasi (gettito nel 2022 pari a 22,7 miliardi di euro), l’Imposta di bollo (7,7 miliardi), il bollo auto (7,2 miliardi), l’Imposta di registro e sostitutiva (6,2 miliardi), il canone Rai-Tv (1,9 miliardi), l’Imposta ipotecaria (1,8 miliardi), l’Imposta sulle successioni e donazioni (1 miliardo), i diritti catastali (727 milioni di euro), l’Imposta sulle transazioni finanziarie (461 milioni) e l’Imposta su imbarcazioni e aeromobili (1 milione di euro).
Il trend di crescita del prelievo riconducibile alle imposte patrimoniali in termini assoluti è stato spaventoso: se nel 1990 l’erario ebbe modo di incassare 9,1 miliardi di euro, nel 2000 il gettito ha raggiunto i 25,7 miliardi. Cinque anni dopo i soldi incassati salgono a 30,1 miliardi che nel 2015 arrivano a 48,4. Nell’ultimo anno in cui i dati sono disponibili, vale a dire il 2022, la riscossione ha toccato i 49,8 miliardi di euro.
No a una nuova patrimoniale, sì al taglio della spesa improduttiva
Nei giorni scorsi alcuni autorevoli esponenti del mondo universitario hanno chiesto l’introduzione di una patrimoniale da applicare agli immobili o alla ricchezza finanziaria degli italiani, con l’obbiettivo di recuperare nuove risorse per fronteggiare con maggiore determinazione il cattivo stato di salute dei nostri conti pubblici. Anche alla luce di quanto riportato più sopra, l’Ufficio studi della CGIA esprime parere negativo all’introduzione di questa misura, non fosse altro perché di tasse (incluse le patrimoniali) ne paghiamo già troppe.
Ritenendo comunque indispensabile ridurre il deficit e conseguentemente il debito pubblico sarebbe auspicabile, oltre a una seria lotta all’evasione fiscale, soprattutto una contrazione della spesa pubblica di parte corrente; tagliando, ovviamente, la parte di natura improduttiva che, ricordiamo, era l’obbiettivo primario della cosiddetta spending review lanciata più di dieci anni fa dall’allora Governo guidato dal prof. Mario Monti. Proposta, quest’ultima, che, purtroppo, sembra ormai essere definitivamente caduta nel dimenticatoio. Di risparmio della spesa pubblica, anche attraverso l’efficientamento della nostra macchina pubblica, in ambito politico purtroppo non ne parla quasi più nessuno.