BELLUNO Carrello della spesa e bollette, tanto per cominciare. Poi, spese mediche, (come il dentista), farmaci, carburanti, trasporti, servizi alle persone (come il parrucchiere). A partire dal 2022 tutto è rincarato con percentuali anche a doppia cifra e ora i pensionati bellunesi, i più poveri del Veneto dopo i rodigini, sono in grandissima difficoltà e per loro arrivare a fine mese è un’impresa. Crolla il potere d’acquisto. Secondo un’indagine realizzata dallo Spi Cgil del Veneto in tutte le province della regione, la rivalutazione degli assegni previdenziali risulta allo stato attuale del tutto insufficiente per recuperare il potere d’acquisto degli anziani bellunesi che sono dunque costretti a rinunce e sacrifici che riducono la loro qualità della vita. La ricerca evidenzia come nel 2022 la spesa di un under 65 che vive solo sia aumentata di 107,50 euro al mese (1.290 euro nell’arco dell’anno), trascinata soprattutto dalle bollette di luce e gas. Ma i rincari mordono anche nel 2023 con una inflazione che, secondo le previsioni, viaggerà al 5% incrementando ulteriormente il costo della spesa di altri 71,60 euro mensili. Insomma, fra rincari del 2022 (107,50 euro, come detto) e quelli del 2023, la spesa quest’anno ai pensionati bellunesi costa mediamente 179,10 euro in più rispetto al 2021. Ma la rivalutazione ha portato in dote, sempre in media, 63 euro in più al mese. All’appello mancano dunque 116,10 euro mensili. Non proprio briciole. Le pensioni nel 2023. Analizzando i dati Inps emerge che il valore medio delle pensioni private in provincia (esclusi i centesimi) è passato dai 982 euro lordi mensili del 2022 ai 1.045 euro attuali, con una crescita assoluta di circa 63 euro e un aumento percentuale di poco superiore al 6%. Ovviamente fra uomini e donne le differenze di reddito sono evidenti. Ai maschi arrivano assegni previdenziali medi di circa 1.410 euro lordi (più 73 euro rispetto al 2022) mentre le donne si debbono “accontentare” della metà, 765 euro lordi mensili (più 53 euro in confronto all’anno passato). Pensioni povere. Guardando sempre ai nuovi dati Inps, si conferma pure nel Bellunese una larga quota di pensioni sotto i mille euro lordi mensili che rappresentano il 58% del totale. In pratica, tre assegni previdenziali su cinque sono inferiori a quella cifra “simbolo”, sotto la quale arrivare a fine mese è una lotta. Unica consolazione, il confronto con il 2022, quando la quota di pensioni under 1.000 euro era del 61,8%. Un decremento strettamente legato alla rivalutazione. Preoccupante, da questo punto di vista, il divario fra i pensionati di età compresa fra i 65 e i 79 anni, che possono contare su pensioni lorde medie mensili di 1.237 euro (più 81 euro rispetto al 2022), e gli over 80 che hanno assegni previdenziali di 764 euro (più 51 euro in confronto all’anno passato). Il dato dipende dal divario di genere, infatti la stragrande maggioranza dei pensionati ultra80enni è donna. L’appello al governo. «La nostra analisi – commenta MariaRita Gentilin, segretaria generale dello Spi Cgil di Belluno – conferma le sensazioni di questi mesi. Le pensioni dei nostri anziani non sono tutelate neppure dalla rivalutazione mentre l’inflazione continua a mordere soprattutto sul carrello della spesa. Purtroppo, constatiamo che molti nostri pensionati hanno dovuto ridurre molte spese, soprattutto quelle dedicate ai prodotti alimentari. Per questo – prosegue Gentilin -, chiediamo di rivedere il sistema della rivalutazione e auspichiamo che il conguaglio previsto a partire da gennaio 2024 venga erogato in anticipo, come aveva fatto il governo Draghi nel 2022 assecondando le richieste dei sindacati. Torniamo a ribadire la necessità di allargare la platea dei beneficiari della 14esima mensilità e aumentare gli importi. Inoltre, monitoreremo anche la questione dell’innalzamento delle pensioni minime, che ora appare solo come uno spot elettorale senza costrutto. Inevitabile, infine, la battaglia per una maggiore equità retributiva di genere». Massimo Cestaro della segreteria dello Spi Cgil del Veneto ribadisce che «il meccanismo dell’adeguamento all’inflazione, seppur molto importante, appare insufficiente tanto più che il governo Meloni ha riconosciuto una rivalutazione al 100% solo alle pensioni inferiori ai 2.101,52 euro lordi mensili (quattro volte il minimo) riducendola drasticamente per gli assegni superiori. Un torto che il nostro sindacato ha condannato fin da subito – prosegue Cestaro -, evidenziando che molti dei pensionati penalizzati dal governo non sono nababbi, ma ex operai specializzati o ex insegnanti, che dopo una vita di sacrifici e di contributi ora portano a casa assegni netti di 1.600, 1.700 euro. Anche per loro l’inflazione è stata devastante ma evidentemente l’esecutivo Meloni non se n’è accorto».
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