di RENATO BONA
Il diciannovesimo capitolo della pubblicazione “Dallo smeraldo di Nerone agli occhiali del Cadore” curata nel 1956 dal dott. Enrico De Lotto per la Camera di commercio di Belluno (stampa tipografia Silvio Benetta), in occasione della Mostra dell’occhiale attraverso i secoli, ospitata durante la settima edizione dei Giochi olimpici invernali di Cortina, è dedicato, come efficacemente sintetizza il titolo, a: “L’opera di Carlo Enrico Ferrari”. Ma chi era Ferrari, del quale De Lotto scrive: “Nei numerosi articoli e nelle pubblicazioni recenti relative allo sviluppo delle occhialerie cadorine, il nome di Carlo Enrico Ferrari non è mai stato posto nella sua giusta luce” per poi aggiungere: “Noi dobbiamo sicuramente al Ferrari il merito di avere coltivato il seme dei pionieri e sviluppato con concetti veramente geniali e moderni la giovane industria degli occhiali. A lui, che se non proprio il fondatore, ne fu veramente l’animatore e l’intraprendente organizzatore dedicandole, per il periodo di undici anni, tutta la sua esperienza, senza risparmio di energie, di mezzi e di sacrifici”. Spiega quindi che Ferrari, nato a Modena 13 gennaio 1854 da Paolo (l’illustre commediografo cui è intestata una piazza nel centro di Milano) aveva prescelto la carriera militare e poco più che trentenne lo troviamo brillante ufficiale di artiglieria nello Stato Maggiore, presso il comando di Milano con il grado di capitano”. Furono alcuni amici che avevano un negozio di articoli di ottica nella capitale lombarda a convincerlo e così lasciato il servizio attivo si dedicò all’industria degli occhiali, rilevando la piccola fabbrica di occhialeria del Molinà, acquistata con gli amici a buone condizioni. Venne dunque costituita la società Bonomi, Colson e Ferrari (che si sciolse il 1. ottobre 1890 perché i due soci rimasti a Milano trovarono che l’impresa non era abbastanza redditizia e decisero di abbandonare – ndr.) e nel 1888 lui stesso ne assunse la direzione trasferendosi in quel di Calalzo di Cadore con la famiglia. La figlia ricorda: “Arrivammo l’11 di settembre. Sembrava di essere in capo al mondo. Nessuna comodità moderna dai servizi domestici a quelli urbani, Niente illuminazione stradale; niente medico, niente farmacia. Nessun servizio di comunicazione con il resto del mondo, se si fa eccezione per una sgangherata corriera tirata da tre rozze (tipo Far West di film americani) che passava due volte al giorno sul ponte della Molinà per il trasporto di posta e passeggeri da Belluno al Comelico e viceversa. Per gli approvvigionamenti e persino per il telegrafo si doveva senz’altro ricorrere a Pieve”. Tutto questo – sottolinea l’autore – per inquadrare l’ambiente nel quale Ferrari “iniziò il suo lavoro, con quel coraggio, quell’entusiasmo, quella serena dedizione, quella tenacia, quello spirito organizzativo e geniale che furono sempre le principali caratteristiche della sua personalità. Nell’impresa il nostro investì tutto il suo patrimonio e tutto il suo lavoro e proseguì da solo in anni, i primi, che risultarono decisamente duri. Attuò un primo ampliamento dello stabile, sostituì con una turbina idraulica la ruota del mulino per generare la forza motrice che azionava il macchinario, edificò una palazzina per gli uffici amministrativi, avviò nuovi sistemi di fabbricazione di fusti e montature per occhiali con macchine da lui stesso inventate, e saldature a fuoco con un forno appositamente costruito. Dotò lo stabilimento di illuminazione elettrica con una dinamo del Tecnomasio di Milano, primo in tutto il Cadore e probabilmente nell’intera provincia di Belluno; dedicò un reparto alla fabbricazione di astucci per occhiali e di scatole per la spedizione del prodotto. Tutti interventi che comportavano un impiego di capitale superiore alle sue disponibilità e costituì anche per questo la società “C.E. Ferrari & C” di cui fu direttore generale mentre Ignazio Landoni ne era il direttore tecnico. Ferrari ha avuto il grande merito, fra molti altri, di essere stato il primo in Italia a fabbricare montature di ferro cerchiate, con saldatura di sua speciale invenzione, coadiuvato dai fratelli Lozza, Giuseppe e Lucio, che seppero costruire le macchine necessarie, nell’ambito di rapporti che l’autore descrive come sempre cordiali ed improntati ad un senso di reciproca stima. E così nel 1896 la fabbrica del Molinà era veramente fiorente e prometteva bene… e la merce si spedisce a più pacchi, ciascuno di 20 dozzine di occhiali e a più cassette ferroviarie e tali e tante da raggiungere un centinaio e mezzo in un mese, per un valore di merce di circa lire 15.000 mensili. I pacchi si spediscono in Oriente, in Africa e nella Francia”. Ma ecco il terribile incendio, il gravissimo colpo dal quale il protagonista di quella bella storia si riprese, a fatica, con l’aiuto della moglie e la solidarietà convinta degli operai tanto che ben presto i prodotti della ditta Ferrari “salirono in grande rinomanza e ad essa si rivolsero subito tutte le grandi case della penisola, poi quelle dell’estero, di Amburgo, di Parigi, di Egitto, di Costantinopoli, della Repubblica Argentina, del Brasile e della Grecia”. In conclusione, De Lotto sottolineava ancora una volta che “l’opera del Ferrari è veramente degna di rilievo perché egli seppe creare in Italia un’industria nuova, in una località affatto industriale, dove l’educazione della mano d’opera, tra le altre cose, deve essere stata assai difficile. Egli portò la giovane azienda ad un così alto grado di potenzialità e di successo da meritare plauso, apprezzamento e riconoscenza… Morì il 4 agosto 1932 ed il Cadore, che tanto deve a questo pioniere delle occhialerie, ha voluto trarre il suo nome dall’oblio”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Dallo smeraldo di Nerone agli occhiali del Cadore”): il cav. Carlo Enrico Ferrari; operai dello stabilimento riuniti il 20 settembre 1893 per una bicchierata in occasione del conferimento della medaglia d’oro all’Azienda; all’occhialeria Ferrari & C. medaglia d’argento all’esposizione di Palermo del 1891; così la fabbrica dopo il devastante incendio. In primo piano a sinistra l’angolo della palazzina degli uffici, fatta costruire da Ferrari. Al piano terreno vi era l’impianto della galvanoplastica: è il 1896; la fabbrica dopo il primo ampliamento. La nuova costruzione, con facciata a torrione, si prolungava lungo tutto il lato destro dello stabilimento (1892); anno 1983: l’officina meccanica con al centro Giuseppe Lozza e alla sua sinistra, in secondo piano, il fratello Agostino; altro interno, anno 1894: reparto impacchettatura per la spedizione degli occhiali; l’intestazione della carta da lettere della ditta dopo la ricostruzione dello stabilimento.