di Renato Bona
“Sulla Gazzetta ufficiale del 18 aprile 1970 veniva pubblicato il decreto numero 151 del Capo dello Stato, Saragat, con il quale l’Ospedale civile di Pieve di Cadore (Belluno) veniva costituito in ente ospedaliero. Si concludeva così la gestione dell’Eca trasformandosi l’“Infermeria” in vero e proprio ospedale civile con gestione autonoma. A completare la pratica, il medico provinciale emetteva, il 27 aprile 1970, il decreto sulla costituzione del consiglio amministrativo. E le persone da allora investite dell’incarico sono: “Lino Tabacchi, eletto dal consiglio provinciale; Dino Vissà, Antonio Cason e Girolamo Tabacchi, nominati dal commissario prefettizio dott. Portunato che in quel tempo reggeva il comune di Pieve; Carlo Fumei e Benito De Biasi eletti dall’Eca; il dott. Cappellari assumeva la carica di direttore sanitario e il sig. Giopp quella di direttore amministrativo; presidente il cav. Vissà. Prendeva così definitiva forma il tanto atteso Ospedale del Cadore, un organismo moderno che non solo risponde alle richieste sanitarie della zona in modo eccellente, ma soddisfa altresì alle aspirazioni de lungo tempo manifestate dalla gente cadorina”. Quanto precede si legge nel libro “L’Ospedale civile del Cadore” con note storico-sanitarie dai primordi della civiltà cadorina alla creazione dell’attuale istituto ospedaliero, stampato dalla tipografia Tiziano di Pieve e curato da Serafino De Lorenzo (il decano dei giornalisti della provincia di Belluno, mancato nel dicembre 2011 all’età di 96 anni, nella sua casa di Nebbiù di Pieve, lasciando il figlio Osvaldo, la nuora Luciana ed i nipoti Andrea e Giuditta; pubblicista dal 1967 aveva fatto il cronista ancora durante la seconda guerra mondiale; rappresentava con onore la storia culturale e della comunicazione di tutto il Cadore e non a caso aveva diretto per ben quattro lustri il mensile della Magnifica Comunità. Nell’ottobre 2015 – come ricorda il sito youreporter.it) – la Regola di Nebbiù ed il Comune di Pieve ne avevano ricordato la figura e l’attività nel centenario della nascita con un convegno, moderato da Lucio Eicher Clere, sul tema: “Un uomo, un amministratore, un giornalista”, con apprezzati interventi di Gino Da Vià, Bruno De Donà, Vittore Doro e Giancarlo Pagogna e conclusioni del sindaco Antonia Ciotti. Nell’occasione, il figlio Osvaldo aveva presentato il libro postumo di Serafino: “Storie (cronache d’un tempo)”. L’istituzione ospedaliera di Pieve di Cadore – si legge dopo i contributi del presidente Dino Vissà e dell’arcidiacono Guglielmo Sagui – creata come Ospedale Civile del Cadore è cosa recente, sorta per decisione del Comune che ha coraggiosamente affrontato la soluzione di un problema vecchio di parecchi decenni. Tale problema si era andato sempre più acutizzando perché ciò che sembrava una facile via d’uscita non si mostrava tale alla sua attuazione pratica”. Dunque “Una realizzazione sofferta ed attesa e per questo ancora più valida e meritevole di tutte le attenzioni per gli ulteriori sviluppi… Se è stata il coronamento di sforzi, di iniziative, di gesti generosi e soprattutto di volontà di uomini e di desideri della popolazione, può non dispiacere volgere uno sguardo al passato, lontano e vicino, per quel tanto che consenta di avere una immagine, anche solo indicativa, delle condizioni sanitarie della nostra terra, per confrontarle con quelle venutesi a stabilire di recente e di misurare il lungo cammino della scienza e dell’arte medica in Cadore”. A questo punto prendono il via i dieci capitoli in cui è articolato il volume: “Cenni sulle condizioni sanitarie del Cadore attraverso i secoli passati” (così suddiviso: Periodo preromano e romano, Le condizioni sanitarie del Medioevo, Nei secoli di appartenenza alla Repubblica veneta, I sanitari dal XV al XVII secolo, Le cure dentarie, Le condizioni degli alienati, La medicina legale e sociale, La farmaceutica); “Ospedali, Battuti e Fradies”; “Le epidemie” (Le pratiche religiose per scongiurare le epidemie, Isolamento, unica arma di difesa, Le epidemie in Cadore, il ‘mal francese’ e la ‘Falcadina’, Le epidemie e superstizioni, I rapporti col governo della Serenissima, Quattro anni di paure per una peste mai scomparsa, Altre notizie di epidemie); “Il Settecento e le nuove conquiste scientifico-sociali”(Le pratiche religiose in materia di salute, Residui di antiche credenze); “I sanitari esercitanti in Cadore nel Settecento” (Anche una donna medico, Bartolomeo Toffoli, Marcantonio De Marchi); “I mutamenti politici e la situazione sanitaria nel XIX secolo” (La nuova scienza medica, Le condotte sanitarie e le farmacie, Alcune figure di medici cadorini, Ferdinando Coletti, Le epidemie del XIX secolo in Cadore); “La lunga strada percorsa”(Ospedale una necessità sempre più sentita, Da Auronzo il primo ospedale moderno, L’ospedale militare di Tai, A Cortina un grande Istituto ospedaliero, A Pieve qualche cosa si muove, Il lascito Vascellari, Una iniziativa privata); “La istituzione dell’Ospedale civile del Cadore (Relazione del commissario straordinario Dino Vissà al consiglio di amministrazione nell’atto dell’insediamento, il 20 maggio 1972)”; “Una realizzazione moderna” (Un decennio attivo e operoso, Le attuali capacità ricettive dell’ospedale, Costante incremento delle attività): “La gestione amministrativa” (Le prospettive per il futuro, Una tradizione che continua: la beneficenza, Una iniziativa del Lions Club di Pieve di Cadore) .
NELLE FOTO (fotoFrol e riproduzioni dal libro “L’ospedale civile del Cadore”): la copertina del libro; l’autore, Serafino De Lorenzo; Andrea Vecellio Larice di Auronzo: lasciò la sue sostanze alla sorella con l’impegno, mantenuto, che a sua volta donasse l’intero patrimonio per un fondo destinato ad un ospedale moderno, il che avvenne; l’avvocato auronzano Luigi Rizzardi, deputato del Cadore due volte: elargì molto in vita per l’erezione del nosocomio di Auronzo e per testamento legò la sua intera sostanza allo stesso scopo; il commendator Severino Vascellari di Calalzo inserì nel testamento la donazione di 1 milione 200 mila lire e i suoi immobili in Piazza Tiziano a Pieve, per l’erezione di un ospedale in Cadore; la casa di cura “Cadore” a Pecol di Pieve (Aldo Molinari); ottobre 1963: feriti del Vajont portati all’ospedale di Pieve con l’elicottero (L. Livan); immagine del complesso ospedaliero; il dott. Romualdo Cappellari direttore della casa di cura “Cadore”; il sindaco di Pieve dott. Beniamino Bianchi: affrontò con coraggio e successo il problema dell’ospedale; il gr. uff. Dino Irno Vissà: attuò il piano finanziario per la conversione della Casa di cura in Ospedale civile e ne resse l’amministrazione nel difficile periodo di avvio e di ampliamento, prima come commissario e poi come presidente; il primo nucleo di cadorini di donatori del sangue è nato in seno alla casa di cura e poi è divenuto Sezione dell’Abvs, qui ad una festa sezionale col presidente provinciale Roda, il generale Tessari presidente della Croce Rossa, il direttore Cappellari e l’arcidiacono Fiori.