Il 21 agosto del 1730, 290 anni fa, nasceva a Belluno in una delle famiglie di più antica nobiltà, Lucio Doglioni, figlio di Francesco e Giustina Alpago Novello. Belluno gli ha intitolato la via che dal Ponte Nuovo sale a via Pellegrini. Il sito treccani.it/enciclopedia puntualizza che “La sua casata, una delle quattro nelle quali, da sempre, era riposto il governo della città, abitava in un trecentesco castello denominato Dollone e tra i propri avi annoverava Leone, che militò con Cangrande Della Scala nel 1325, Ippolito, che fu colonnello al servizio del principe di Condé e combatté poi con la Serenissima, e lo storico Giovanni Nicolò”. Lo storico Giuseppe Fontana nel suo libro “La Provincia di Belluno” lo comprende fra i “tanti figli illustri della famiglia Doglioni, antica e nobile stirpe di Belluno” ricordando che fu Canonico del Capitolo della cattedrale e per diversi anni vicario generale capitolare. Aggiunge che: “Studioso insigne, amava ritirarsi in riposo alla Vigna d’Oro, che sorge nella piana di Cavarzano: ivi si trova una lapide che ricorda questo suo luogo di villeggiatura e ivi c’è ancora la sua mano destra imbalsamata”.
Dopo i primi studi nella città natale, Lucio li proseguì a Treviso per poi laurearsi, a 19 anni, a Padova e quindi intraprendere la carriera di amministratore della giustizia a Crema, Salò, Rovigo, Mantova ed Udine. Intanto – è ancora l’enciclopedia Treccani a dirlo – andava rivelando il suo notevole talento umanistico: già nel 1748 aveva esordito dando alle stampe un sonetto e inserendolo in una silloge di componimenti poetici in occasione della partenza da Belluno del reggimento del podestà Paolo Querini… Da allora in poi scrisse versi d’occasione, florilegi letterari e prose accompagnatorie… Appena ventiduenne, lesse all’Accademia degli Anistamici di Belluno (11 novembre 1752) una dottissima dissertazione ‘Dell’antico Stato di Belluno’ studio che si deve ritenere tra i più seri circa l’origine latina della città e della zona limitrofa… Una naturale prosecuzione dell’opera precedente è ‘Intorno al sito di Belluno’ (Belluno 1765), letta anch’essa all’Accademia degli Anistamici il 31 gennaio 1765… Sodalizio per il quale molto si adoperò. Nel 1760 fu iscritto come socio all’Accademia degli Agiati di Rovereto, assumendo il nome arcadico di Arvinio, e nello stesso periodo divenne uno dei 16 membri dell’Imperial Regia Accademia di Padova. Pur continuando ad esercitare la professione di giureconsulto, dopo essere stato anche a Verona e Rovereto, Doglioni dedicò sempre maggiore spazio alle ricerche storico-archeologiche non trascurando, però, quelle di erudizione religiosa.
Stabilitosi definitivamente a Belluno, fu giudice della città sino al 1772, anno in cui avvenne una decisa svolta nella sua vita. In seguito alla scomparsa del decano del capitolo della diocesi bellunese, Angelo Alpago, unanimemente i membri dello stesso lo elessero a sostituirlo nel novero dei componenti. Abbandonate le pratiche forensi, abbracciò la vita ecclesiastica; ciò comportò un ritorno profondo allo studio della teologia, di cui qualche anno più tardi ottenne la cattedra mantenendola per due lustri. Tutto questo non gli impedì la prosecuzione degli studi storici; è proprio da questo momento in poi che produsse le sue opere migliori su temi che aveva già approfondito in età giovanile. Nel 1775, venuto a mancare Cesare Alpago, decano del capitolo, ne assunse la carica che mantenne fino alla morte. Nel frattempo era divenuto bibliotecario della Capitolare bellunese: sotto la sua direzione fiorì un risveglio importante per la cultura del luogo. Egli stesso, indefessamente, curò la ricca collezione che il vescovo Lollino aveva lasciato, ne catalogò i manoscritti, molti ne trascrisse, riesumò lavori che altrimenti sarebbero andati perduti. Ma lavorò anche in proprio producendo varie opere fra cui si segnalano quelle di carattere storico-archeologico.
Nel 1785, alla morte del vescovo Giambattista Sandi, gli fu affidato l’incarico di vicario e quando sul calare del secolo, in un momento difficile per la Chiesa bellunese morì il vescovo Giovanni Alcaini, proprio a Doglioni toccò la reggenza come vicario; la salute malferma sconsigliava, probabilmente, una sua elezione. Ma egli adempì, in modo impeccabile, al nuovo e pesante incarico per oltre tre anni sinché, improvvisamente, si spense a Belluno il 24 aprile 1803. La fine repentina non gli permise di pubblicare quello che, forse, sarebbe stato il prodotto migliore della sua vita di studioso: il “Chronicon” del Lollino che aveva pressoché terminato e di cui aveva offerto un abbozzo nel 1758. Un numero imprecisato di suoi manoscritti è andato perduto; come non si ha più traccia d’una traduzione autografa dell’opera dell’abate Edmè Moreau, ‘Fonctions ed droits du clergè des èglises et des cathédrales’, che aveva visto la luce a Auxerre nel 1779 e che Lucio Doglioni aveva consegnato alla parrocchia di Castion, luogo bellunese ove era solito soggiornare. Numerose e di qualità sue opere nelle Biblioteche di Belluno e Bassano del Grappa; in quella del seminario bellunese esiste un manoscritto di circa 200 pagine con i profili biografici di personaggi suoi contemporanei.
NELLE FOTO (Renato Bona e Books Google): ritratto di Lucio Doglioni; la tabella e la via intitolate al canonico e vicario della Diocesi bellunese; copertina dell’elogio di monsignor Doglioni a cura di Giuseppe Urbano Pagani Cesa; passo del Dizionario storico-artistico-letterario bellunese dedicato a Lucio Doglioni; una delle prestigiose pubblicazioni del Doglioni.