IL SERVIZIO DI GIANNI SANTOMASO
RADIO PIU’ La docente e giornalista Luisa Manfroi espone qualche considerazione riguardo il MUSLA
Ben venga l’interesse dei giovani verso la propria lingua, il proprio idioma. Un interesse e un’iniziativa che spero possa avere seguito. Del resto siamo nella patria di linguisti e cultori della tradizione come Giovan Battista Pellegrini, GioBatta Rossi, Vito Pallabazzer e Silvio Pellegrini che hanno dedicato la loro vita alla ricerca. Non mi stancherò mai di dire che parlare il proprio idioma, quello che la legge 482/1999 definisce “lingua minoritaria” ma che comunemente definiamo “dialetto”, serve a rendere di più il senso di comunità e contribuisce a essere più consapevoli del proprio territorio, della propria identità culturale. Se una persona conosce le proprie origini, è più facile che rimanga legata al proprio territorio e, forse, è meno facile che lo lasci, contribuendo al triste fenomeno dello spopolamento.
Mi piace prendere in prestito il motto dell’Unione Europea che è “Unità nella diversità” che si può declinare anche per la lingua: si può parlare la lingua del proprio posto e in contemporanea conoscere l’italiano che è la lingua nazionale e l’inglese che è la lingua usata internazionalmente. Evidentemente, mi viene da pensare che la globalizzazione cominci a pesare e che la ricerca della propria identità culturale, e quindi linguistica, stia acquistando attenzione e interesse. Lo stanno da tempo facendo i discendenti degli emigranti sparsi in Europa e nei vari continenti interessati a mantenere la lingua dei propri antenati. Un plauso, perciò, all’iniziativa di questi giovani studiosi auspicando, come ho detto, che oltre alla codificazione linguistica e alla grafia, il nostro idioma torni e continui ad essere un veicolo di comunicazione tra i ragazzi che si può affiancare in maniera flessibile all’italiano e all’inglese. Ho seguito nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso l’iter che ha portato alla approvazione della legge 482 del 1999 a tutela delle minoranze linguistiche, quella dell’Agordino è il ladino. Si deve molto a questa legge che, una ventina di anni fa, ha portato la scuola a promuovere progetti finanziati di valorizzazione della lingua e della cultura ladina. Perciò, non sono completamente d’accordo sul fatto che agli agordini non sia stata data la possibilità di imparare la lingua anche a scuola. Devo dire che alcune scuole, già prima dalla legge, per tradizione, non hanno tralasciato di lasciare spazio alla lingua minoritaria che a scuola, in generale, è uno strumento trasversale rispetto ad altre discipline, ma è pure utile per conoscere alcuni aspetti della geografia e dell’ambiente locale. Il Clil è una metodologia didattica che si presta bene a questo scopo e in alcune scuole dell’IC di Cencenighe sono stati fatti finora dei progetti Clil anche di ladino. Pur essendo la scuola un ottimo punto di partenza, credo che la consapevolezza e l’attenzione per il proprio idioma debba partire e nascere in modo spontaneo dalla famiglia anche se, in certi casi, l’interesse può essere individuale, del singolo e dar vita ad iniziative come quella del Musla mirate a mantenere viva la lingua dell’Agordino.
Luisa Manfroi