di RENATO BONA
Seppe trasmettere il genio dell’arte anche al fratello e ai figli (compreso Pierluigi, per lustri sacrestano della cattedrale-basilica del Duomo di Belluno) Ricorreva mercoledì 23 febbraio scorso il novantanovesimo anniversario della nascita del comelicese Giovanni De Bettin Linc. pittore accademico di fama internazionale, fine poeta e cantore della ladinità comeliana, mancato il 4 giugno del 2006 a seguito di una emorragia del 31 maggio. Unanime il cordoglio per questa che – come ebbero modo di evidenziare Italo Zandonella Callegher e Mario Fait in “Escursioni Comelico e Sappada, Cierre ed. 1997, figurava “tra le persone che spiccano per impegno ed intraprendenza dando lustro alla propria terra” e dopo aver sottolineato che nell’Atelier di Costalta (la Stua Cultural a lui dedicata – ndr.) c’è una mostra permanente delle sue opere, specificavano che “Uomo schivo e sensibile, buono e ironico, ha saputo trasmettere il genio dell’arte anche ad altri membri della sua famiglia: ai suoi figli tutti pittori e musicisti (compreso Pierluigi, già sacrestano apprezzato della cattedrale di Belluno, mancato il 27 luglio 2016 – ndr.), e al fratello Alberto”. L’amico di chi stende queste note, Lucio Eicher Clere, anima del Gruppo Musicale di Costalta che mosse i suoi primi passi, facendo prove di canto proprio nello studio pittorico della via Chiappetin di quello che ne era considerato il “padre”, appunto Giovanni, a dieci anni dalla morte di De Bettin ebbe modo di ricordarne la figura e l’opera sul quotidiano Il Gazzettino, in occasione dell’inaugurazione della mostra “I Ritratti” con una ventina di opere tra le più significative della produzione artistica del pittore tra i più validi del secondo Novecento cadorino. Il Gruppo ne interpretò infatti il lavoro più faticoso dal punto di vista della scrittura ladina, cioè la libera traduzione del romanzo I promessi sposi di Alessandro Manzoni nel dialetto ladino costaltese, con il titolo ‘I Nuizes’. Il libro, pubblicato nel 1983, è molto originale, perché adatta il testo manzoniano alla parlata popolare, seguendo lo schema del confronto in dialogo tra i vari personaggi. Eicher Clere non mancò di dire che “Giovanni De Bettin diede spazio alla sua vena creativa con oltre duemila quadri nei suoi 50 anni di professione pittorica, ma seppe anche dare dignità al ladino con poesie e i lavori di traduzione”. Si occupò di Giovanni De Bettin Linc. anche il pubblicista Roberto Bona (tra l’altro mio fratello – ndr.) evidenziando fra l’altro come il poliedrico artista avesse “fatto della sua origine comelicese la fonte di ispirazione sincera e feconda del suo operare artistico”. E ricordando che nell’estate 2002 De Bettin ha tradotto in ladino “Le avventure di Pinocchio” nel volume “Pinocchio ladin” mentre il suo amore per le tradizioni costaltesi è testimoniato anche nel volume, pure edito dal Gruppo Musicale, “Didos i nos veces”. Comunque – sostenevano i suoi amici-allievi-colleghi – “prima ancora che scrittore ladino è conosciuto come pittore la cui fama ha valicato gli orizzonti dolomitici” grazie a numerose opere pittoriche di indiscusso pregio fra le oltre duemila realizzate in una carriera cinquantennale prodiga di meritate soddisfazioni quali la commenda dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, l’iscrizione all’Accademia francese Arts-Sciences-Lettres, all’Accademia Tiberina in Roma, al Centre de Liaison des Artistes in Deauville in Francia. Viene dunque naturale condividere un’altra testimonianza del Gruppo Musicale di Costalta, questa: “Accostarsi a Giovanni De Bettin è come immergersi dentro alla storia millenaria di questa valle marginale, dove i volti delle persone sono segnati come le cortecce degli alberi, dove natura e uomo hanno imparato a convivere tanto che nei suoi quadri le sfumature tra figure e paesaggio sono impercettibili. Un mondo, quello da lui dipinto, che conserva un fascino poetico e che colpisce ed attrae chi lo guarda”. Nonché il giudizio del critico d’arte Enzo Santese sull’”Idillio ed elegia nella pittura di Giovani De Bettin”, questo: “La sua opera si fonda quasi esclusivamente sull’atmosfera di famiglia (intesa anche in senso lato, come comunità paesana), quindi su paesaggi montani inseriti in un ambito che equivale alla scrittura di un cantastorie”.
NELLE FOTO (dal sito digilander.libero. it.costaltadicadore): il grande artista di Costalta di Comelico, Giovanni De Bettin Linc.; “Tramonto del giorno… e della vita”, opera del 1983; “Bagnante” del 1975; “Cavalli al pascolo”; “Contadino con ciotola e piccone”, anni ’80; “Cristo coronato di spine”, anni ’70; “Famiglia Oscar Coi”; “Fendineve”; Giovanni Paolo II nei boschi del Cadore”, del 1993; la “Raccolta del fieno”, anni ’90; “Le tre età della vita” realizzato nel 1980; “Mungitura”, anni ’90; “Paesaggio con abeti”; “Pala di San Rocco” della chiesa parrocchiale di Costalta, anno 1971; ritratto del figlio Daniele; “Ritratto del padre”; “Studio di nudo”; “Vecchio cacciatore”.