di RENATO BONA
Ci siamo occupati, in un recente servizio dedicato al libro del caro amico prof. don Lorenzo Dell’Andrea: “Selva di Cadore come era” (in ladino: “Selva da nosakàn”), stampato dalla tipografia Piave di Belluno nel 1993 ad iniziativa dell’Union de i Ladiñ de Selva, sul capitolo intitolato “Progresso” che, per non andare troppo lontano nel tempo, a partire dal 1960, nel secondo dopoguerra, “si è fatto vorticoso”. Ed ha sicuramente garantito in uno spazio brevissimo di tempo il miglioramento della qualità della vita. Per Dell’Andrea, questo “boom” è dovuto all’‘esplosione’ del terziario, cioè del turismo”, anche se “ha fatto registrare il contemporaneo abbandono del ‘primario’ cioè dell’agricoltura e di tutte le attività ad essa collegate”. Non va trascurato infatti che “la domanda turistica ha portato ad una forte attività edificatoria su tutto il territorio, con costruzioni, in prevalenza ‘seconde case’, sparse ovunque con una grande lievitazione del prezzo sia dei terreni edificabili che delle case”. Ed ecco, di seguito, una serie di immagini riferite proprio alla realtà turistica, con le didascalie di Lorenzo Dell’Andrea. Si parte con: “Un depliant promozionale del turismo a selva di Cadore, probabilmente dell’immediato primo dopoguerra che assieme alle strade d’accesso riporta i sentieri dal Falzarego, da Cortina-Pocol per Giau, da Cortina per Forcella Ambrizzola e da San Vito e Borca per Forcella Forada.”. Segue la foto (raccolta Tullio Da Rech) de: “L’albergo ‘Val Fiorentina’ negli anni ’30. Per la centralità e per i servizi offerti rimase sempre, fino alla sua recente chiusura, il centro di maggiore riferimento per il turismo nella Val Fiorentina”. Altra immagine (foto Fedele Chizzolin, raccolta Union de i Ladiñ de Selva), quella de l’“Hotel Pelmo” sulla Passadora verso gli anni ’20. Dopo varie vicende è oggi divenuto sede del Museo e di attività culturali e commerciali”. Proseguendo (Chozzolin- Union de i Ladiñ de Selva) ecco: “La ‘Trattoria con alloggio e panificio’sulla Passadora ad inizio degli anni ’20, divenuta poi il ‘Miravalle’” e, quindi: “La ‘Trattoria con alloggio’ de i Brosa, a Pescul, all’inizio degli anni ’20. Le strutture ricettive alberghiere, in passato prevalentemente concentrate nel capoluogo, erano poche ma svolsero un ruolo fondamentale per l’avvio del turismo” (Chizzolin- Union de i Ladiñ de Selva). L’autore del libro illustra quindi la foto de: “Il grande campeggio nazionale del Touring Club Italiano in località Palui, oltre Pescul, che diede impulso alla conoscenza della Val Fiorentina e al ‘turismo di massa’. Da notare la corriere ancora con le ruote di gomma massiccia (raccolta Tullio Da Rech). Mentre per l’immagine successiva commenta: “Un particolare del Campeggio del Touring Club Italiano ai piedi del Pelmo. Una scelta che anticipava lo sviluppo dei campeggi nella zona” (raccolta Maria Lorenzini). Tocca poi (foto Ghedina, raccolta Aristide Bonifacio) a: “La ‘Villa Einbenstein’ a Santa Fosca, in alto a sinistra, vicino ai pascoli e al bosco de le Rive. Costruita alla fine degli anni ’30 è stata (se si eccettua la ‘Villa Pirollo’) la prima ‘seconda casa’ della vallata. Una ‘semente’ che (a prescindere dal giudizio se sia ‘buon grano’ o ‘gramigna’) si è moltiplicata a dismisura, con grande occupazione del territorio”. Ed ecco (raccolta Tullio Da Rech) l’immagine de: “Il vecchio rifugio del Passo Giau, ai tempi in cui per raggiungerlo d’inverno bisognava armarsi di tanta pazienza e di ‘ciaspe’.
Qualche solitario sciatore, gustando la bellezza delle Dolomiti al sole invernale, forse presagiva già lo sviluppo degli sport invernali, dal Fertazza al Civetta, dalla Marmolada allo stesso Passo Giau. Per molto tempo comunque la zona del Giau, con le altre gravitanti attorno a Cortina, restò uno dei principali punti di riferimento per i turisti di Selva, particolarmente per l’estate”. Dell’Andrea propone quindi la foto (Chizzolin, raccolta Union de i Ladiñ de Selva) di: “Un escursionista verso il 1920, con l’Alpenstock allora in uso, ai piedi del Pelmetto. Sullo sfondo i ghiaioni che scendono dalla parete nord del Pelmo e i contrafforti della Val d’Arcia”. Tocca (raccolta Museo di Selva di Cadore) a: “Pozzo a Rova. La costruzione con le due ‘barkonele’ per la luce, è posta a protezione di un pozzo, prezioso nei villaggi lontani dai torrenti prima dell’avvento degli acquedotti, costruiti verso il 1912. Pozzi esistevano anche all’interno delle case, come documentato da quello esistente nella ‘ciésa de i Palóe’ a Landria”. Quindi: “Un palo della luce, in legno, con il tipico braccio in ferro che sosteneva il ‘piatto’ di protezione contro le intemperie e la lampadina, che era avvitata a vista. L’introduzione dell’energia elettrica, grazie all’iniziativa di alcuni locali (Antonio Monico, Giuseppe De Pin e Bonifacio Luigi (Nat) che fondarono nel 1905 la ‘Società elettrica Monico e C.’ e alla centrale del Cordon, è stata un progresso, eliminando, prima nelle case e poi anche nelle stalle, lo scomodo e pericoloso uso delle candele e delle lampade a petrolio”. Prima della foto (raccolta Filippo De Filippo) di Selva alla fine del secolo XIX con, sulla sinistra la strada della Passadora, ecco (foto e raccolta Lorenzo Dell’Andrea): “Il ‘faèr’ de Tone Deven a Toffol nel 1971: le ultime ‘stange’ stanno marcendo e presto le ‘kolònde’ saranno tagliate. Come questo, uno alla volta sono crollati, tra l’indifferenza generale, tutti i ‘faèr’ del paese che fino agli anni ’60 erano un elemento caratteristico del paesaggio ma soprattutto mezzo importantissimo per la sopravvivenza della popolazione. E’ una conseguenza del ‘progresso’. Una conseguenza che ha un aspetto positivo, perché finalmente la nostra gente è uscita dalla misera economia d’una volta. Ma quel ‘faèr’ in disfacimento fa anche riflettere: il ‘progresso’, assieme al ‘faèr’, non rischia forse di travolgere anche cose importanti? I ‘valori’, la nostra piccola ma significativa ‘civiltà locale’, la nostra ‘cultura’?