Sebbene nel secondo trimestre si sia verificata una leggera ripresa, nei primi 6 mesi di quest’anno lo stock delle imprese artigiane presenti in Veneto è diminuito di 629 unità. Al 30 giugno scorso, il numero complessivo si è attestato a quota 126.112.
Ad eccezione del Trentino Alto Adige, in tutte le altre regioni italiane il saldo 1 dei primi 6 mesi è stato negativo. Solo la Sicilia e l’Emilia Romagna hanno comunque registrato un risultato peggiore al nostro. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
A livello provinciale, nel Veneto è stata la provincia di Vicenza a segnare la contrazione del saldo in valore assoluto più marcata (-218). Seguono Verona (- 117) e Padova (-99). L’unico territorio a registrare un risultato positivo è stata la provincia di Venezia (+3).
Quali sono le cause di questa contrazione ?
“La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l’impennata degli affitti – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l’attività. E per rilanciare questo settore è necessario, oltre ad abbassare le imposte e ad alleggerire il peso della burocrazia, rivalutare il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale che è stata spaventosa. L’artigianato è stato dipinto come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno quei ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore”.
“E nonostante la crisi e i problemi generali che assillano l’artigianato – prosegue il segretario Renato Mason – non sono pochi gli imprenditori di questo settore che segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Soprattutto al Nord, si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti di mezzi pesanti, i conduttori di macchine a controllo numerico, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i battilamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”. Alla base di tutto, comunque, rimarrà il saper fare che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera”.
Lo spettro dell’aumento dell’Iva
Una ulteriore “stangata” al mondo dell’artigianato potrebbe arrivare il prossimo 1° gennaio. Se non si disinnescherà l’aumento dell’Iva, l’innalzamento di 3 punti percentuali sia dell’aliquota ordinaria che di quella ridotta rischia di provocare degli effetti molto negativi sul fatturato di queste attività che, ricorda la CGIA, vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie. E oltre agli effetti economici e occupazionali, la riduzione del numero delle attività artigiane e in generale dei negozi di vicinato ha provocato delle ricadute sociali altrettanto significative. Con meno botteghe, stiamo assistendo ad una desertificazione dei centri storici e anche delle periferie urbane sia delle grandi città che dei piccoli paesi. Questa situazione ha abbassato notevolmente la qualità della vita di questi luoghi: c’è meno sicurezza, più degrado e più abbandono. Lo ha capito persino la politica che con il “decreto dignità” ha stabilito che dal 2020 i Comuni con meno di 20 mila abitanti avranno la possibilità di azzerare per i successivi 3 anni le tasse locali a quegli artigiani o piccoli commercianti che amplieranno il proprio negozio o riapriranno l’attività dopo un periodo di chiusura di almeno 6 mesi. Un segnale, seppur insufficiente, che va nella direzione giusta: quella di rivitalizzare le nostre città e piccoli paesi che sono sempre più svuotati di attività e di servizi ai residenti.
Una crisi che viene da lontano
L’emorragia delle imprese artigiane dura ormai da un pezzo. Se nell’ultimo anno (2018 su 2017) lo stock complessivo presente in Veneto è sceso di 1.763 unità (-1,4 per cento), negli ultimi 10 anni, invece, la contrazione è stata pesantissima: -16.589 attività (-11,6 per cento). Una caduta che non ha registrato soluzioni di continuità in tutto l’arco temporale analizzato (2018-2009). Al 31 dicembre scorso, invece, il numero totale delle imprese artigiane attive in Veneto si è attestato a 126.741 unità. I settori più penalizzati dalla crisi sono stati l’autotrasporto, la manifattura (metalmeccanici e legno) e l’edilizia.