È morto sul lavoro e il titolare dell’impresa, per la quale lavorava in nero, ne ha occultato il cadavere negando poi di conoscerlo e di sfatto sviando le indagini. È morto sul lavoro e il titolare dell’impresa, per la quale lavorava in nero, ne ha occultato il cadavere negando poi di conoscerlo e di sfatto sviando le indagini. La sorella della vittima, assistita da Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di infortuni sul lavoro mortali, si è lasciata andare a un pianto liberatorio, al termine di un lungo processo nel quale, purtroppo, ha dovuto rivivere svariate volte il dolore di quel tragico giorno.
REDAZIONE La Corte d’Appello di Trento ha confermato la condanna a 4 anni e 5 mesi di reclusione emessa, in primo grado, dal Tribunale di Trento nei confronti di R.S., 45enne, imputato nel caso giudiziario riguardante la tragica morte di Vitali Mardari, ventottenne di origine moldava, avvenuta il 19 novembre 2018. “All’improvviso, a causa di un errato calcolo delle forze necessarie per l’attività e a causa dell’utilizzo di un mezzo non idoneo (un escavatore) per tendere la corda metallica – spiegano i tecnici di Giesse Risarcimento Danni – la stessa si spezzò, colpendo violentemente Mardari che finì catapultato a una ventina di metri di distanza”. R.S. invece di prestare immediato soccorso all’infortunato, con l’aiuto degli altri due uomini trasportò il corpo di Mardari vicino al ciglio della strada, coprendolo anche con dei pezzi di legna, e solo successivamente avvisò i soccorsi affermando di aver ritrovato il ferito per caso mentre si trovava nei pressi del suo cantiere, altri due lavoratori, nel frattempo, si erano prontamente allontanati. “Giustizia è stata fatta – commenta emozionata anche la sorella di Vitali, Ludmila – Nessuno ci riporterà mai Vitali, che manca nelle nostre vite ogni singolo minuto di qualsiasi giornata, ma per lo meno sapere che chi lo ha trattato in quel modo ora pagherà ci dà un doveroso senso di giustizia”.R.S. era stato altresì dichiarato interdetto dai pubblici uffici per 5 anni e condannato ad una provvisionale, immediatamente esecutiva, di 110.000 euro, oltre alle spese di costituzione ad assistenza liquidate in euro 8.000 più accessori. La Corte d’Appello di Trento ha confermato la condanna comminata in primo grado.