In vista della legge di Bilancio 2020, l’Ufficio studi redigerà il “Manifesto a sostegno del ceto medio produttivo”
Sono micro e sono tantissime ma, soprattutto, sono importanti per l’elevato numero di persone a cui danno un’occupazione. Stiamo parlando delle micro aziende, vale a dire le attività imprenditoriali da 0 a 9 addetti1. Anche nel Veneto sono il 95 per cento circa del totale delle imprese presenti nella nostra regione e danno lavoro a quasi 703 mila cittadini (pari al 41,5 per cento del totale). Un numero doppio rispetto a quello riferito alle grandi aziende che, segnala l’Ufficio studi della CGIA, “assorbono” solo, si fa per dire, poco più di 337.000 addetti (vedi Tab. 1).
A livello provinciale è Rovigo la realtà dove l’incidenza percentuale degli addetti nelle microimprese sul totale è più elevato. Il risultato è pari al 54,6 per cento. Seguono Belluno con il 45,1 per cento e Venezia con il 42,9 per cento. Ovviamente, fa notare la CGIA, l’incidenza delle micro è maggiore nei territori dove le aziende medio-grandi sono meno presenti. In termini assoluti, invece, svetta la provincia di Padova con 143.500 addetti alle dipendenze di realtà produttive tra 0 e 9 addetti. Seguono Verona con 132.430, Vicenza con 124.668 e Treviso con 123.816.
Nelle micro del Nordest ci sono 144 mila occupati in più rispetto alle aziende medio-grandi
Se, inoltre, mettiamo a confronto gli addetti delle medie e grandi imprese (quasi 596.000) con quelli a libro paga nelle micro (circa 703.000), notiamo che in queste ultime lavorano 107.000 persone in più. I settori maggiormente interessati dalla presenza delle microimprese sono quelli delle libere professioni, del commercio-turismo e delle costruzioni. Le micro aziende del Veneto, altresì, generano poco più del 33 per cento del valore aggiunto riconducibile alle imprese del nostro territorio (25 miliardi di euro su un totale di 75) e il 26 per cento circa del fatturato veneto (75 miliardi su un totale di 290)2.
Il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo, puntualizza:
“Fino a quarant’anni fa erano ritenute residuali, quasi un effetto collaterale del boom economico esploso negli anni ‘60. Molti esperti, addirittura, prevedevano che nel giro di qualche decennio sarebbero scomparse a causa della globalizzazione. Diversamente, le micro imprese si sono consolidate e oggi costituiscono uno degli assi portanti della nostra economia. E nonostante la crisi le abbia colpite duramente, mantengono ancora un peso occupazionale rilevante, sebbene la politica e in generale l’opinione pubblica non le tengano in grande considerazione”.
No a ecobonus e salario minimo per legge
Anche per queste ragioni, l’Ufficio studi della CGIA chiede con forza che si inizi a legiferare con particolare attenzione alle richieste sollevate dal mondo delle piccole e micro imprese. Negli ultimi tempi, invece, le cose stanno andando diversamente. Alcuni esempi concreti?
Introdotto con il “Decreto crescita”, lo sconto in fattura per i lavori relativi a ecobonus e sismabonus provocherà una forte distorsione alla concorrenza a danno dei piccoli imprenditori del comparto casa. A sollevare questa denuncia è stata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che in più di un’occasione ha segnalato come le disposizioni previste dall’art. 10 favoriranno i soli operatori economici di grandi dimensioni. Altrettanto preoccupanti rischiano di essere le conseguenze che potrebbero emergere con l’introduzione per legge del salario minimo a 9 euro lordi all’ora.
“Se questa misura diventasse legge – afferma il Segretario Renato Mason – il costo aggiuntivo in capo alle sole imprese artigiane presenti in Italia sarebbe di 1,5 miliardi all’anno. Un aggravio considerevole, anche se decisamente sottostimato, in quanto non include l’effetto trascinamento che l’introduzione del salario minimo per legge avrebbe nei confronti dei livelli retributivi che oggi si trovano sopra i 9 euro lordi. Appare evidente che, ritoccando all’insù la retribuzione per i livelli più bassi, la medesima operazione dovrebbe essere effettuata anche per gli inquadramenti immediatamente superiori. Diversamente, molti lavoratori si vedrebbero ridurre o addirittura azzerare il differenziale salariale con i colleghi assunti con livelli inferiori, pur essendo chiamati a svolgere mansioni superiori a questi ultimi”.
A breve la stesura di un “Manifesto a sostegno del ceto medio produttivo”
Un banco di prova molto importante per misurare la sensibilità del Governo Conte, e in generale del Parlamento, nei confronti dei piccoli produttori sarà la legge di Bilancio 2020. Per questa ragione l’Ufficio studi della CGIA sta predisponendo un “Manifesto a sostegno del ceto medio produttivo”3 che, entro il prossimo autunno, verrà recapitato a tutti i deputati e i senatori italiani, affinché le loro proposte legislative “rispettino” le 10 richieste avanzate dagli artigiani mestrini (vedi Tab. 2). Questo pacchetto di misure sarà suddiviso in due cluster [più (+) e meno (-)]. Entrambi saranno composti da 5 punti (vedi Tab. 2).
Nel primo cluster (+), l’Ufficio studi della CGIA chiederà più efficienza nella Pubblica amministrazione, più credito, più investimenti pubblici, più formazione professionalizzante e più servizi digitali. Nel secondo cluster (-), invece, l’Associazione veneta reclamerà meno tasse, meno burocrazia, meno criminalità organizzata, meno lavoro nero e meno concorrenza sleale. Ogni punto sarà corredato da una nota descrittiva e da una illustrazione grafica.