Nonostante i correttivi approvati dalla Camera dei Deputati, nel 2019 la manovra di Bilancio costerà al sistema imprenditoriale italiano 4,9 miliardi di euro. Di questi, 3,1 miliardi graveranno sulle imprese non finanziarie e 1,8 miliardi sugli istituti di credito e sulle assicurazioni. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che, attraverso il suo coordinatore, Paolo Zabeo, afferma:
“Grazie all’aumento della deducibilità dell’Imu sui capannoni, al ripristino delle detrazioni sulla formazione 4.0. e all’impegno di abbassare i premi Inail, alla Camera la maggioranza di Governo ha diminuito, rispetto al testo uscito da Palazzo Chigi, da 6,2 a 4,9 miliardi l’aggravio sulle imprese provocato dalla manovra. Uno sforzo importante, ma non ancora sufficiente. Le aspettative degli imprenditori, in particolar modo in materia fiscale, sono state ampiamente disattese. Senza contare che con la rimozione del blocco delle tasse locali prevista in manovra, c’è il pericolo che dal 2019 torni ad aumentare il peso dei tributi locali”.
Come aveva avuto modo di fare una quindicina di giorni fa analizzando il testo del ddl approvato dal Consiglio dei Ministri, l’Ufficio studi della CGIA ha eseguito la stessa operazione anche sul testo approvato la settimana scorsa dalla Camera dei Deputati per valutare l’effetto netto delle misure previste per le imprese: il risultato rimane ancora molto negativo. Nel 2019, infatti, il prelievo sulle imprese private è destinato ad aumentare di 3,1 miliardi e sugli istituti bancari e quelli assicurativi di 1,8 miliardi. Fortunatamente, le cose andranno decisamente meglio negli anni successivi: nel 2020 il sistema economico subirà una riduzione di prelievo pari a 1,7 miliardi e nel 2021 l’alleggerimento fiscale salirà a 2,2 miliardi (vedi Tab. 1).
Dalla CGIA fanno sapere che nell’elencazione delle misure introdotte dalla legge di Bilancio è stata inserita anche l’annunciata, ma non ancora approvata, riduzione del premio Inail. Non sono stati conteggiati, invece, gli effetti delle misure introdotte definitivamente con il decreto semplificazione. Ovvero, l’abolizione dal 1 gennaio 2019 del Sistri e l’introduzione del fondo di garanzia per le Pmi che si trovano in difficoltà a restituire le rate dei finanziamenti ottenute dalle banche a seguito dei mancati pagamenti della Pa. Queste 2 misure, comunque, dovrebbero agevolare le imprese per un importo non superiore ai 70 milioni di euro l’anno.
“Certo – segnala il Segretario della CGIA Renato Mason – con la legge di Bilancio attualmente in discussione al Senato è stata introdotta la flat tax a favore dei lavoratori autonomi con ricavi inferiori a 65 mila euro all’anno. Nonostante ciò, nel 2019 l’alleggerimento fiscale sarà di soli 331 milioni di euro. Un piccolo passo nella giusta direzione che, comunque, rimane ancora del tutto insufficiente, anche se a regime il risparmio di imposta sarà di 1,3 miliardi di euro” (vedi Tab. 2).
Va comunque ricordato che con la manovra 2019 è stato sterilizzato l’aumento dell’Iva per un importo di 12,6 miliardi di euro. Se ciò non fosse avvenuto, l’incremento delle aliquote non avrebbe avuto effetti diretti sulle imprese, anche se, molto probabilmente, i consumi sarebbero diminuiti ulteriormente, condizionando negativamente i ricavi, in particolar modo, dei lavoratori autonomi, degli artigiani e dei piccoli commercianti che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie.
Come dicevamo più sopra, nel 2019 c’è il pericolo di un eventuale aumento della tassazione locale. Avendo rimosso il blocco delle aliquote dei tributi locali introdotto nel 2015 dall’allora Governo Renzi, è molto probabile che molti Sindaci torneranno ad innalzarle. Secondo alcune stime, degli 8.000 Comuni presenti in Italia ben l’81 per cento ha i margini per aumentare l’Imu sulle seconde case e addirittura l’85 per cento per innalzare l’addizionale Irpef. Non è da escludere, inoltre, che avendo aumentato la deducibilità dell’Imu sui capannoni, alcuni primi cittadini potrebbero essere tentati ad innalzare l’aliquota di propria competenza, almeno fino alla soglia che non consente agli imprenditori di pagare di più di quanto realmente fatto nel 2018.
Va altresì segnalato che tra il 2010 e il 2017 le manovre di finanza pubblica a carico delle Autonomie locali hanno comportato una contrazione delle risorse disponibili pari a 22 miliardi di euro. I più colpiti sono stati i Comuni. Se nelle casse dei Sindaci la “sforbiciata” ha raggiunto l’anno scorso gli 8,3 miliardi di euro, alle Regioni a Statuto ordinario le minori entrate si sono stabilizzate sui 7,2 miliardi. Le Province, invece, hanno subito una diminuzione delle risorse pari a 3,5 miliardi, mentre le Regioni a Statuto speciale formalmente non hanno sopportato alcuna contrazione, anche se lo Stato centrale ha imposto loro di accantonare ben 2,9 miliardi di euro (vedi Tab. 3).
E’ pertanto evidente che molti Sindaci, a fronte dei tagli ai trasferimenti avvenuti in questi anni, se avranno la possibilità non si lasceranno certamente sfuggire l’occasione di mettere mano alle entrate, agendo sulla leva fiscale. Speriamo che in sede di discussione al Senato questa ipotesi sia “congelata”, così come accaduto negli ultimi 3 anni.