BELLUNO All’interno di Porta Dojona, nel cuore di Belluno, una grande lapide ricorda il successo italiano nella Grande Guerra del 1915-12 con il testo del “Bollettino della Vittoria” firmato da Armando Diaz, un napoletano di lontani origini spagnole, che all’età di 56 anni assunse la carica di capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano. Alla fine del conflitto mondiale venne nominato Duca della Vittoria; fu anche ministro della guerra e maresciallo d’Italia; nato a Napoli il 5 dicembre 1861, sposò Sarah De Rosa-Mirabelli nel 1895 ed ebbe due figli: Marcello ed Anna; morì il 29 febbraio 11928 a Roma. Nell’ultimo numero del bimestrale “Corriere dell’Unione” edito dall’Unione nazionale mutilati per servizio (ha la sede provinciale anche nella “Città del Piave”, Belluno appunto, nella via Simon da Cusighe, ed è presieduta da Mario Mazzei che ha ricevuto il testimone dallo “storico” presidente Erminio De Conz) che lo invia agli associati, è recensito il libro “Armando Diaz, il Generale della Vittoria” scritto dal tenente colonnello Antonio Grilletto e dallo storico Vincenzo Cuomo i quali sottolineano, fra l’altro, che: “… era amato dai soldati, affabile, attento alle esigenze dei militari” ed “organizzò la resistenza sul fiume Piave e sul monte Grappa e seppe ricaricare le truppe di entusiasmo e di sano patriottismo guidandole alla vittoria dopo la sconfitta di Caporetto” aggiungendo: “Per portare nuova linfa nelle linee di combattimento, ricorse alla mobilitazione dei cosiddetti ‘ragazzi del ‘99’ e poté così avvalersi di ben 25 nuove divisioni…”. La prima guerra mondiale. A prescindere da quello pagato dai soldati, fu decisamente pesante il tributo del Bellunese, che aveva visto il 24 maggio 1915 il territorio provinciale divenire campo di battaglia e dove – lo ricordava il giornalista Roberto Bona (mio fratello – ndr.) in un servizio di anni fa sul Corriere delle Alpi – fino all’ottobre 1917 si combatté la “guerra per crode” sulla linea che partendo da Passo Rolle attraverso il gruppo della Marmolada e del Cristallo giungeva al Peralba, ed il capoluogo, città di immediata retrovia e, come il resto della provincia, per un anno occupata e vinta dal nemico. Queste le tragiche cifre che esponeva: “3228 morti di fame, 1574 per mancanza di cure sanitarie, distrutta o perduta una grande ricchezza privata, una consistente fetta di popolazione (18,24 per cento i profughi nel capoluogo) che all’occupazione nemica preferì trovare scampo nella fuga”. Ancora Bona a ricordare che “Lo scomparso Piero Rossi nel suo pregevole ‘Belluno’ edito per i tipi della Piave nel 1977, evidenziava in proposito che ‘La difesa sul Grappa e sul Piave assunse, veramente, per tutto l’esercito italiano ma soprattutto per i combattenti bellunesi e delle altre terre invase, un significato di guerra patriottica e per la sopravvivenza nazionale, cosciente e vissuto, il quale lascerà una traccia profonda sul sentimento popolare’ e quindi sottolineava che ‘Esso può spiegare anche il successo di certe strumentalizzazioni del patriottismo e dello spirito nazionale, ma è anche alla base di quel movimento che vedrà un giorno unite le coscienze della parte maggiore e migliore dei bellunesi, contro una nuova invasione straniera’”. Il 24 ottobre 1917, gli eserciti austro-tedeschi, sfondarono le linee italiane a Caporetto, catturando moltissimi soldati recuperando grandi quantità di armamenti e costringendo il nemico ad una disastrosa ritirata che appariva il preludio di un’imminente capitolazione. Quella che sembrava la dissoluzione di un esercito allo sbando si tramutò, quasi per miracolo, in una incredibile rinascita. Infatti dopo la sostituzione del generale Cadorna con Armando Diaz, le rinvigorite truppe italiane fermarono definitivamente gli austro-tedeschi nella storica battaglia del Piave, ricacciandoli al di la del fiume. La scelta di Diaz si rivelò dunque azzeccata: il nuovo comandante dimostrò grande sensibilità ed attenzione per la condizione delle truppe, cui venne riservato, finalmente, un adeguato trattamento; decise anche di porre fine alla scriteriata tattica degli assalti frontali, serviti soltanto a distruggere il morale dei soldati, che si vedevano considerati, dagli alti comandi, come degli agnelli sacrificali. Schierati sulla linea del Piave, gli italiani, il 15 giugno 1918 nella cosiddetta “battaglia del solstizio”, dopo aver respinto i numerosi assalti nemici, obbligarono le armate austro-tedesche, alla ritirata, come indicato, la sera del 23 giugno, dal generale Diaz nell’annuncio di una vittoria (“Dal Montello al mare, il nemico, sconfitto e incalzato dalle nostre valorose truppe, ripassa in disordine il Piave”) che, di fatto, impedì l’invasione e la conseguente sconfitta dell’Italia; dopo la batosta subita, infatti, gli Imperi Centrali, esausti e distrutti nel morale, non furono più in grado di assumere, sul fronte italiano, alcuna iniziativa. L’onta, l’umiliazione di Caporetto era stata, dunque, finalmente e definitivamente cancellata. Il trionfo ottenuto esaltò il genio militare di Diaz, dimostratosi valido stratega in una battaglia costata la vita a 250 mila persone e che fra l’altro mise in luce i nuovi reparti d’assalto dell’esercito italiano, gli “Arditi”, che contribuirono non poco, con le loro incursioni, a sconfiggere il nemico. Il Piave divenne, da allora, il simbolo dell’estremo sacrificio in nome di una patria salvata dalla tenacia e dal coraggio di decine di migliaia di combattenti, tra cui spiccavano i “ragazzini” della classe del 1899 (tra i tanti anche l’ex vescovo di Feltre e Belluno mons. Gioacchino Muccin), chiamati alle armi per riempire i paurosi vuoti causati da tre anni di massacri e mattanze. il generale Diaz ottenne, a Vittorio Veneto, la vittoria decisiva, che costrinse l’imperatore d’Austria-Ungheria Carlo I, succeduto, nel 1916, al defunto Francesco Giuseppe, a chiedere la resa, firmata il 4 novembre 1918 a Villa Giusti, presso Padova, dopo che anche una Germania allo sbando, stremata dal blocco navale e devastata da scioperi e da episodi di insubordinazione militare, si arrese; fu la fine di una guerra terrificante, atroce, che provocò la morte di 10 milioni di persone e che si concluse con la lacerazione del grande impero Austro-Ungarico e con la fine del reich di Guglielmo II, costretto ad abdicare in favore della nascita della debole repubblica di Weimar.
NELLE FOTO Renato Bona, (Wikipedia, bimestrale Corriere dell’Unione, Vesuvio live): il generale Armando Diaz; la grande lapide di Porta Dojona a Belluno con il Bollettino della Vittoria; copertina del libro di Grilletto-Cuomo; e quella della rivista dell’Unms; il giornalista Roberto Bona; immagine della Grande Guerra; ancora il generale Diaz; il monumento che gli è stato dedicato a Napoli; la tomba nella quale riposa a Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma; il vescovo di Feltre e Belluno mons. Gioacchino Muccin, “ragazzo del ‘99”.