Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Marco Rossi che ci scrive “Visto il casino che è uscito sui social in questi giorni, mi sono sentito in dovere di provare a scrivere qualcosa a sostegno del giovane cacciatore pesantemente insultato. Non per fare polemica, ma perché mi sembrava giusto che in una situazione così delicata emergesse anche un’altra campana, per invitare ad abbassare i toni e per dare un minimo di vicinanza alla famiglia e al povero ragazzo ingiustamente tartassato”.
LA LETTERA
Sulla vicenda del cervo Bambotto si è già scritto troppo, ma la tristezza e lo sconforto provocato dall’odio che serpeggia anche nella mia comunità di San Tomaso mi hanno spinto a scrivere queste righe. Più che dare giudizi vorrei porre domande, che spero siano utili a chi fomenta questa inutile e straziante gogna mediatica contro un membro della comunità e la sua famiglia. Sì, prima di difendere un animale selvatico, che l’uomo ha voluto trasformare, consciamente o inconsciamente, in un’attrazione, ritengo giusto difendere un giovane che non merita di certo questo linciaggio, al netto del giudizio che ciascuno di noi dà alla vicenda dal punto di vista etico.
È comprensibile l’amarezza, la tristezza, la rabbia degli abitanti di Pecol per l’uccisione di un animale selvatico al quale erano affezionati? Ovviamente sì, visto che da anni l’animale si era avvicinato a loro tanto da diventare docile con tutti. Ma è comprensibile tutto il clamore e l’odio e gli insulti feroci riversati su un giovane? No. È ora di smetterla! Basta! Si rende conto, chi ha iniziato e chi continua questa bagarre, cosa ha causato nella vita del giovane cacciatore e nella sua famiglia? Prima di sputare veleno, ci si è chiesti se il giovane avrebbe potuto sopportare questa pioggia d’odio, francamente prevedibile visto che i post sui social network hanno una visibilità globale? Il cacciatore ha almeno dalla sua parte la giovane età che porta a fare imprudenze e scelte sbagliate. Chi ha usato male i social senza prevedere le conseguenze, forse questa giustificazione non ce l’ha.
“Entità oscura”, “miserabile” sono alcuni di questi insulti. Sappiamo ancora usare l’italiano? Comprendiamo l’effetto che certe parole hanno sul web? La famiglia di questa cosiddetta “entità oscura” si è sempre prodigata per la comunità di San Tomaso e il giovane stesso, fin da adolescente, passa il suo tempo libero, per passione, a sfalciare i prati del paese, aiutando gli anziani che non riescono più a farlo e contribuendo a dare decoro alle nostre frazioni. Quando si dà un giudizio (posto che si abbia la statura morale per farlo) non è forse meglio valutare attentamente tutti gli aspetti di una persona invece di soffermarsi su quello che è successo negli ultimi cinque minuti? È davvero così complicato avere la memoria un po’più lunga?
“La comunità intera è in preda alla disperazione” è la sintesi di quello che dicono molti servizi su tv e giornali; ricostruzioni del tutto fuorvianti, sbagliate, capziose. Ma chi si è fatto portavoce di una comunità in questa vicenda, è sicuro che tutta la comunità di San Tomaso la pensi davvero così? Come si fa ad ergersi come rappresentanti, senza provare a capire cosa ne pensano gli altri membri? Come detto all’inizio, una parte dei miei compaesani è comprensibilmente rattristata per la sorte del cervo. Ma sono convinto che c’è un’altra parte della popolazione per cui sia più grande lo shock per le maldicenze, gli insulti velenosi, l’odio becero, piuttosto che per la morte di un animale selvatico. Sono soprattutto queste ricostruzioni sulla mia comunità che mi hanno spinto a scrivere queste righe. Il fragile tessuto sociale del paese non ha bisogno di questo odio che porta alla disgregazione. Ha bisogno invece di aggregazione. Abbiamo perso un’altra occasione per utilizzare al meglio delle energie preziose a vantaggio della comunità intera. Le abbiamo invece stupidamente sprecate in inutili maldicenze.
Le ricostruzioni mediatiche della vicenda sono imbarazzanti. Non riesco a definire giornalista chi, al posto di analizzare i fatti cercando di fare un ragionamento complesso, riporta solamente gli insulti e spinge la gente a schierarsi. Bianco o nero. I media ci spingono ad essere dei beceri tifosi invece di aiutarci ad analizzare le vicende umane e dipanarne la complessità con chiavi di lettura che ci portino ad imparare qualcosa. Tutto questo può servirci almeno da insegnamento, visto che questa volta abbiamo avuto sotto gli occhi la vicenda reale e la sua trasposizione mediatica completamente distorta, per farci credere quello che i media stessi volevano. La prossima volta che ci schieriamo, bianco o nero, dopo aver visto una trasmissione televisiva, chiediamoci se è quello che realmente pensiamo o se è quello che siamo stati indotti a pensare. Ma anche su questo tema mi sorge una domanda: siamo proprio obbligati a cedere alla pressione dei giornalisti, fomentare ancora di più le divisioni e prolungare l’agonia su questa vicenda?
La caccia è una pratica giusta o sbagliata? etica o “non etica”? Non lo so e non mi interessa. E non è francamente una decisione che ora deve schiacciare la comunità di San Tomaso, fatta entrare in una bagarre più grande di lei che si è estesa a fanatici da tutt’Italia. C’è chi ha un bisogno atavico di entrare in simbiosi con la natura e lo fa praticando un’attività umana ancestrale e c’è chi va a caccia con ingordigia. C’è chi ha una sensibilità verso l’ambiente e la natura e chi si fa ottuso paladino nella difesa degli esseri viventi diventando feroce con alcuni di essi, i suoi simili, come si vede dagli insulti sui social. Sono tutte figure ben distinte e le posizioni estreme sono inconciliabili. Ma metterci in queste posizioni estreme aiuta forse a risolvere la questione? Ancora una volta siamo spinti alla tifoseria. Una cosa però mi sento di aggiungerla, perché noto che per la gente di città che ha riempito pagine di insulti questo ragionamento non è così semplice da comprendere: la gente di montagna vive in eterna simbiosi con la natura che la circonda. Il bosco dietro casa non è un luogo estraneo dove l’uomo non può andare, né un parco divertimenti con gli animali in bella mostra, ma è un luogo familiare e vissuto tanto quanto la “stua” di casa. Quindi va gestito. In un ambiente naturale antropizzato come il nostro c’è bisogno che ci sia un equilibrio e nella definizione di questo equilibrio l’uomo deve fare la sua parte in maniera scientifica e razionale, non con spinte sentimentalistiche. Non per sfruttare la natura, non per arrivare alla cancellazione della sua presenza secolare da questi territori, ma per raggiungere un equilibrio.
I politici, di entrambi gli schieramenti, hanno aiutato a dare risalto alla vicenda e sono stati, in ultima istanza, complici di chi ha insultato il giovane cacciatore. Perché costoro hanno scoperto l’esistenza di San Tomaso solo a causa di un cervo e non si sono mai minimamente interessati alla comunità locale prima d’ora? Avrei tanto voluto vedere troupe televisive e giornalisti in paese non a distorcere la realtà sulla morte di un animale selvatico, ma a fare inchieste sulla condizione di marginalità che incatena il territorio montano, sui disservizi, sullo spopolamento, sul perché i giovani se ne vanno. Non sul perché è morto un cervo amato dai bambini, ma sul perché a Pecol sono nati tre bambini negli ultimi quarant’anni! Magari, i rappresentati della Repubblica e delle Istituzioni avrebbero potuto impegnarsi a inventare e sviluppare modelli economici favorevoli alle nostre zone, visto che sono stati eletti proprio per quello e non per ingigantire vicende i cui toni andavano invece smorzati.
Un ultimo appello a chi è rammaricato per la morte del cervo, ma che è intelligente a sufficienza da conservare ancora un po’ di buon senso (rivolgersi a chi il buon senso non ce l’ha purtroppo ha poco significato): smettiamola! Basta! Basta! Smettiamo di correre dietro a tutto questo clamore mediatico e abbassiamo i toni, per il bene della nostra comunità. Abbiamo messo già troppo odio in questa vicenda. E tutto questo odio, alle nostre fragili comunità di montagna, non fa bene.
Marco Rossi
UN NOSTRO ASCOLTATORE: Lettera quasi tutta condivisibile. Ma poniamoci la domanda: – Perché Bambotto era tanto amato? Risulterà che in questi tempi moderni, lui forse per anni ha incarnato la pace, la natura, l’essenza della vita, il bello del mondo, l’incontro col mistico, l’essenziale senza sovrastrutture, stress, egoismo, rancori… Bastava incontrarlo per riappacificarsi un po’ col mondo! È sbagliato santificare un cervo e pure mettere in croce chi lo ha ucciso… Ma Bambotto ha reso il mondo più bello, ci ha fatto un regalo enorme, anche se a volte la notte non ci lasciava dormire. Lui la CATTIVERIA non la conosceva .. e non è poco