di Renato Bona
BELLUNO “La storiografia ufficiale sulla resistenza nella Valle del Biois fa risalire ai giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943 le prime iniziative volte ad organizzare i molti giovani militari che stavano ritornando alle loro case dopo aver abbandonato il proprio reparto”. Lo scrive lo storico autore-editore Bepi Pellegrinon, di Falcade, in una manciata di pagine del quaderno “Partigiani in Val Biois”, sottotitolo: “Sulle tracce di ‘Marco’ fra cattolici comunisti ed Edgardo Sogno”, che ha editato con la sua Nuovi Sentieri. impreziosendo la copertina con: “Marco”, tecnica mista di Franco Murer. E puntualizza: “In quel momento non emergeva ancora una precisa scelta ‘di campo’, ma si trattava di una condizione obbligata per sottrarsi alle truppe tedesche, dapprima per non correre il rischio di essere deportati, poi anche in attesa di comprendere meglio quali sarebbero stati gli sviluppi della situazione politica e militare creatasi dopo la caduta di Mussolini. Gli sbandati, abbandonati allo sbaraglio da una classe politico-militare vile, stanchi della guerra, erano comunque già aperti ad un processo di revisione critica e di ribellione”. Infatti l’antifascismo covava sotto le ceneri: “le ingloriose avventure sulle Alpi francesi, seguite dagli amari risultati ottenuti nelle aspre terre di Grecia e Russia, oltre che portato tanti lutti nella valle, avevano aperto definitivamente gli occhi sulla natura della guerra fascista, sulla criminalità mussoliniana e sulla innaturale alleanza con i tedeschi nazisti. Pellegrinon ricorda che “Caviola era il centro di questo movimento. Gli operai, emigrando in Europa, erano venuti a contatto con mature esperienze delle ideologie socialiste, senza dimenticare la tradizione cooperativistica e di mutuo soccorso che localmente vantava una storia gloriosa. Infine, anche il clero da tempo aveva assunto posizioni di apertura sociale, anche se in contrapposizione al movimento socialista”. E’ in questo contesto – si può leggere – che sorse per primo il plotone “Cime d’Auta” di cui facevano parte una quarantina di giovani in quattro squadre, al comando degli alpini Tranquillo Busin, Felice Ganz, Attilio Pellegrinon e Corrado de Zulian (reduce di Russia decorato al valor militare per un atto di valore sul fronte del Don). Ed è in quell’inizio dell’autunno 1943 che nei rifugi e nelle baite sui monti della valle si riattavano al meglio le costruzioni, si nascondevano viveri, si preparava la legna da ardere e si fissavano i posti di comunicazione fra zone. E qui viene fuori la figura di Maurizio Cappellin (mestrino, 25 luglio 1918-12 febbraio 1979, laureato in medicina), nome di battaglia Marco, “con la sua incerta vicenda umana e patriottica”. Cattolico militante, opera a Venezia nell’inverno 1943-44 per organizzare il movimento partigiano ma il suo principale impegno è volto a costituire le fila della Democrazia Cristiana”. Non si sa quando ‘scelga’ o venga invitato in montagna perché sono poche le notizie di lui: pare che nella primavera del 1944 abbia brevemente fatto parte della Brigata ‘Val Cordevole’ operando sulle alture sovrastanti Caracòi. Ed è a Falcade, nel maggio, dove il gruppo di militanti cattolici già organizzato prende il nome di Partigiani Democratici e lui ne assume il comando. Il 17 luglio i Partigiani Democratici che dopo l’unione col gruppo di Caviola raggiungono il comando delle Brigate Pisacane alla Forcella Pianezze ed assumono il nuovo nome di Battaglione Col di Lana: un episodio significativo e cruciale – scrive Bepi Pellegrinon – dato che “anziché rappresentare l’unificazione sotto lo stesso comando di tutte le forze resistenti operanti nella Valle del Biois (secondo anche la volontà di ‘Marco’ che non manifestava preclusioni politico-ideologiche), diventa insanabile la rottura fra i cattolici e le altre forze, comunisti in primis”. Ed è assodato che “nel giro di pochi giorni, uno alla volta, i membri dei Partigiani Democratici, con astuzia e diplomazia, in disaccordo con le scelte di Marco che li ha ‘traditi e immessi fra i partigiani comunisti’, abbandonano la Forcella Pianezze e ritornano chi in montagna chi a casa a Falcade… nemmeno un intervento di Colleselli a Falcade, che ha un abboccamento coi bolognesi ‘Nando’e ‘Gracco’ riesce a rimuovere l’ostilità manifestata” e non produce risultati neppure una veloce sortita agli Zingari Alti – dove parte dei Partigiani Democratici si è provvisoriamente rifugiata – da parte di Marco alla ricerca di chiarimenti e spiegazioni, anzi: il comandante veneziano viene dapprima accusato di tradimento, poi anche picchiato e minacciato di morte, tanto che deve allontanarsi precipitosamente. Il gruppo si scioglie, anche su consiglio di Arnaldo Colleselli che giudica insanabili i rapporti con le altre formazioni partigiane ma che tuttavia ha ben presente la necessità in questa fase storica, dell’unità di tutte le forze che si oppongono al fascismo”. Poi, la vicenda tragica della rappresaglia nazista che provoca la “Strage della Valle del Biois” con uccisioni e devastazioni dei paesi dati alle fiamme. I passaggi successivi della vicenda umana di “Marco” da quel momento cominciano a rarefarsi. Il 22 febbraio 1945 sposa a Milano la veneziana Mali Viti. Non è ben chiaro perché in seguito il nostro aderì e combatté con la Brigata Franchi di Edgardo Sogno, uomo dei servizi segreti. E quindi Pellegrinon conclude con l’interrogativo: “Qual’è il vero Cappellin: il cattolico Marco, il comandante del Col di Lana o il convinto seguace di Sogno?… Anche nell’elenco dei partigiani veneziani che hanno militato nelle formazioni della resistenza bellunese, il suo nome non appare. Rimosso, dimenticato o cancellato?”.
NELLE FOTO (riproduzioni dalla pubblicazione “Partigiani in Val Biois”): l’autore, Bepi Pellegrinon; la copertina della pubblicazione; la carta d’identità falsa di Maurizio Cappellin “Marco” intestata a Maurizio Frigerio; scritta murale fascista sulle elementari di Falcade con correzione antifascista, nel disegno di Ernesto Fol (sindaco di Falcade dal 1945 al 1951, scomparso nel 2000, fervente cattolico e da giovane seminarista); la tessera di riconoscimento rilasciata da “L’Avvenire d’Italia” al corrispondente Ernesto Fol, firmata da Raimondo Mazzini con la data 8 settembre 1943; i commilitoni del battaglione Belluno Giovanni Busin ed Emilio Piccolin onorano il caduto don Giovanni Uccel, cappellano militare a Digne, Francia, i primi di settembre 1943: l’ex parroco di Falcade era stato anche arrestato, liberato anche per intervento del vescovo Giosuè Cattarossi e poi costretto a lasciare i conterranei a causa del suo coraggio e militanza antifascista che “suscitano ancor oggi rispetto e buon ricordo”; il rifugio Rosetta incendiato dai tedeschi nel 1943 (archivio Angelo Orsingher); il partigiano Domenico Costa “Barbaelettrica” di Avoscan di San Tomaso che il 28 luglio 1944 fu determinante con la sua mitragliatrice per trarre dall’impiccio i compagni che avevano teso un agguato ai tedeschi al Rifugio Rosetta; Caviola bruciata dai nazisti nell’estate 1944.