di RENATO BONA
Lo storico Marcello Rosina nel suo libro “Belluno. La crisi dei vagoni” (Tiziano Editori di Pieve di Cadore, agosto 1998, fotografie della collezione Benito Pagnussat) dedica un ponderoso capitolo alla ferrovia Calalzo-Cima Gogna, non realizzata. Rilevato che “comunicazioni ferroviarie dirette col Veneto orientale non ve ne sono” sottolinea che “E’ impressionante, pericolosa e dannosa la soluzione di continuità che esiste tra Alto Adige, Bellunese e Friuli: l’Alto Cadore, cioè la zona del bacino del Piave a monte di Calalzo, non percorsa da alcuna ferrovia si può considerare come isolato dal resto d’Italia”. Le comunicazioni infatti avvengono lungo strade carrozzabili difficili e scomode con messi di trasporto lentissimi e costosi. Di fatto dunque le relazioni con la Pusteria e con la Provincia di Udine sono pressoché nulle causa il difficile attraversamento dei paesi. Unico sbocco esistente è la Valle del Pive con la Calalzo-Veneto centrale. Un piano integrale studiato dallo Stato Maggiore dell’Esercito, dalla Direzione generale delle Ferrovie dello Stato e dagli enti locali delle province di Venezia, Trieste, Friuli e Belluno considerava oltre la costruzione del tronco Villa Santina-Cima Gogna-Calalzo, il suo raccordo con la ferrovia della Pusteria mediante il tronco Cima Gogna-Dobbiaco, il traforo delle Alpi Aurine (per ridurre di 150 chilometri il percorso via Brennero nelle comunicazioni con l’oltre confine), varie modifiche a tronchi ferroviari esistenti per dar vita ad una rete internazionale di gran traffico fra Venezia, Trieste, Milano, Genova ed Europa centrale. Nell’anno 1921 il governo dette il via libera ai lavori della Villa Santina-Calalzo stanziando 5 milioni per il primo tratto fino ad Ampezzo Carnico ma… il fascismo che aveva preso il potere scelse la politica delle economie per risanare i bilanci statali e dunque i lavori, appena avviati, furono sospesi. I Comuni dell’Alto Cadore puntarono allora ad un piano di collaborazione finanziaria concreta Stato-Provincia-Comuni “per sottoporre alla loro benevola considerazione il progetto per un’immediata opera modestissima ma di capitale importanza locale: la costruzione della ferrovia Calalzo-Cima Gogna. Il tronco era previsto di 12 chilometri di lunghezza, sviluppantesi su un terreno poco accidentato dei paesi di Vallesella, Domegge, Lozzo, Pelos ed il caseggiato di Cima Gogna dove la linea finisce, avvicinando i paesi di Lorenzago, Vigo, Laggio, Piniè ed Auronzo e tutti quelli del Comelico il cui capoluogo Santo Stefano dista 10 chilometri da Cima Gogna. Il costo previsto per l’opera era sui 18 milioni, con partecipazione alla spesa quantificata in 6 milioni da parte degli enti locali, ed inizio dei lavori deciso per il 1929. Tre le principali considerazioni prospettate al governo nazionale a sostegno della proposta e a dimostrazione della pubblica utilità del tronco ferroviario da realizzare: il governo nazionale elimina definitivamente la disoccupazione operaia della regione, perché mentre in un primo tempo la manodopera verrà adibita ai lavori di costruzione della linea, in seguitò sarà interamente assorbita dai lavori ed industrie che ne deriveranno; il governo nazionale risolve il doloroso problema dell’emigrazione e del conseguente spopolamento della montagna. Da ultimo il governo nazionale costruisce un’opera che riveste carattere di pubblica utilità per il suo grande valore strategico quale linea radiale di rifornimento di tutto il tratto di frontiera, dello sviluppo di 35 chilometri, che da Valle della Drava va al monte Peralba, ora troppo distante dalla ferrovia; per la sua importantissima funzione avvenire come tronco della direttissima Venezia-Monaco e come linea di innesto della Trieste-Monaco; per la sua grande importanza locale perché assorbirà tutto il movimento viaggiatori Alta Carnia-Italia nord occidentale e perché servirà direttamente la zona dell’Alto Cadore che è, sotto l’aspetto demografico ed economico, d’una importanza non indifferente. Nel libro segue una dettagliata esposizione di dati che, tutti favorevoli, prospettano le condizioni dei comuni, dall’istruzione pubblica, della coltura del suolo, del patrimonio boschivo, dei pascoli di alta montagna, della produzione dei campi e di quella zootecnica, delle forze idrauliche, della ricchezza mineraria, dell’industria turistica, delle stazioni idrotermali, di cura, soggiorno e turismo. Purtroppo, come si è già avuto modo di ricordare in precedenti servizi sull’argomento in base a quanto scritto da Marcello Rosina “Del prolungamento della Ponte nelle Alpi-Calalzo verso Cima Gogna nonostante gli studi risalgano al 1928 e nonostante fosse già stato decretato ancor prima della Grande Guerra, non se ne fece nulla!”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Belluno. La crisi dei vagoni” di Marcello Rosina): Ponte della Molinà presso Pieve di Cadore; il viadotto con sullo sfondo le Marmarole; panoramica di Domegge di Cadore; un’altra veduta di Domegge; Lozzo di Cadore; Contrada principale di Lozzo; nei pressi dello stabilimenti climatico balneare di Gogna; hotel-pension e stabilimento bagni jòroterapici a Gogna; viale alle fonti minerali; ancora uno scorcio dello stabilimento climatico-idroterapico a quota 800 di Gogna di Cadore.