Per l’erario quest’anno sarà sicuramente un Natale con i fiocchi: sotto l’albero, infatti, troverà una “sorpresa” da 513,5 miliardi di euro. A tanto ammonta il gettito tributario del 2021. Sia chiaro: molti contribuenti questo “presente” non l’hanno fatto proprio con il cuore, ma possiamo affermare che alla stragrande maggioranza è “costato” fatica, sudore e tanto lavoro. E mai come in questo momento di difficoltà, tutti sperano che queste risorse vengano spese bene, a vantaggio soprattutto di coloro che ne hanno più bisogno. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA. Tra imposte dirette (Irpef, Ires, Irap, etc.), indirette (Iva) e quelle in conto capitale (imposte di successione, condoni, etc.), negli ultimi 20 anni solo nel 2019 il gettito è stato superiore a quello di quest’anno: sebbene di poco, due anni fa il fisco ebbe modo di incassare 517 miliardi (+3,4 miliardi di euro) (vedi Tab. 1).
Negli ultimi 20 anni più tasse per oltre 146 miliardi
Negli ultimi 20 anni, periodo che praticamente coincide con l’utilizzo dell’euro, le entrate tributarie in Italia sono aumentate di 146,6 miliardi di euro. Se nel 2001 l’erario, Regioni e gli enti locali avevano incassato 366,9 miliardi di euro, nel 2021 il gettito, a prezzi correnti, è salito a 513,5 miliardi (+39,9 per cento). L’inflazione, sempre in questo arco temporale, è aumentata del 35,5 per cento, 4,4 punti in meno rispetto alla crescita percentuale del gettito; il Pil, invece, è aumentato del 36,4 per cento, 3,5 punti in meno dell’incremento delle tasse (vedi Tab. 2 e Graf. 1). Qualcuno può affermare con cognizione di causa che con 146,6 miliardi di entrate in più la nostra macchina pubblica funziona meglio e che i contribuenti italiani abbiano ricevuto più servizi, oppure questo prelievo aggiuntivo li ha impoveriti, contribuendo a non far crescere il Paese ? Noi non abbiamo dubbi; propendiamo senza esitazioni per la seconda ipotesi.
Fisco: il 2022 sarà un anno di transizione
In attesa della tanto agognata riforma fiscale che speriamo sia realizzata entro l’anno prossimo con la legge delega, il 2022 sarà un anno di transizione. Certo, il leggero ritocco all’Irpef approvato in queste settimane dalla maggioranza di governo darà un po’ di sollievo, ma siamo ancora molto lontani dal raggiungere un risultato accettabile. Non solo. Oltre a tagliare le tasse, operazione non più rinviabile, sarà necessario sburocratizzare l’intero sistema fiscale. Oggi paghiamo troppo e in maniera estremamente complessa che per molti artigiani e tanti piccoli imprenditori si traduce in un ulteriore costo per il servizio reso dal commercialista o dal consulente del lavoro.
Bene taglio dell’Irpef, ma è ancora insufficiente
Il punto debole della nuova misura sta nella dimensione del taglio dell’Irpef che i contribuenti beneficeranno nel 2022: 7 miliardi sono pochi e del tutto insufficienti per allineare la nostra pressione fiscale alla media europea. Tuttavia, vista la situazione dei nostri conti pubblici, qualsiasi riduzione strutturale delle tasse non potrà essere fatta in deficit. Se non vogliamo scassare definitivamente il bilancio pubblico, le risorse andranno reperite tagliando di pari importo la spesa pubblica. E qui sta il punto. Abbiamo l’impressione che nessuno, anche lontanamente, voglia razionalizzare le uscite pubbliche, tanto più nei prossimi anni, visto che con il PNRR dovremo spendere oltre 235 miliardi di euro. Per questo nutriamo tante perplessità sulla riuscita della prossima riforma che verrà definita con la legge delega.
Solo con meno spesa avremo una forte riduzione delle tasse
Dall’Ufficio studi della CGIA non hanno dubbi: la vera sfida è far funzionare meglio e con costi inferiori la macchina pubblica. Se, infatti, fossimo in grado con un colpo di bacchetta magica di eliminare una buona parte degli sprechi e degli sperperi che si annida all’interno della nostra Pubblica Amministrazione (PA), probabilmente la spesa pubblica italiana costerebbe molto meno e, conseguentemente, il livello della pressione tributaria sarebbe più contenuto, avvantaggiando proprio coloro che le tasse le versano tutte, fino all’ultimo centesimo. Segnaliamo che il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione burocratica dei rapporti con la PA è pari, secondo l’Istituto Ambrosetti, a 57 miliardi di euro all’anno. I debiti commerciali che lo Stato e le sue articolazioni periferiche hanno nei confronti dei propri fornitori ammontano a 53 miliardi di euro. Senza contare la malagiustizia, il deficit infrastrutturale e l’arretratezza del nostro trasporto pubblico locale. Insomma, se riusciremo ad ammodernare la macchina pubblica, i cittadini e le imprese riceveranno servizi migliori a minor costo e chi ci governa potrà contare su un numero di risorse maggiori per tagliare le tasse.
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