Katia esprime amore e gratitudine per la madre appena deceduta. Nonostante il dolore, sottolinea la presenza di Dio durante le 72 ore di agonia condivise. Ringrazia suo padre e ricorda la fede trasmessa dalla madre. La lettera riflette sulla serenità della madre durante il periodo difficile e conclude con la gioia di immaginare una festa in cielo in occasione dell’ultimo saluto.
LA LETTERA
Noi nipoti siamo un po’ più sfortunati, perché siamo quelli che hanno meno tempo a disposizione da passare con i nonni, ma forse è proprio questo che rende il nostro rapporto con loro così speciale… Quando ero più piccola, ho avuto modo di passare praticamente tutte le mie estati qui. E passavo pomeriggi e serate interi a parlare con la nonna di qualsiasi cosa, le facevo tutte le domande che una ragazzina curiosa del mondo poteva avere. E avendomi portata qui in questa chiesa con lei fin da piccola, finivamo per parlare spesso anche di Dio che, per quanto lo sentiva vicino lei, allora mi sembrava quasi una specie di amico di famiglia, più che una divinità. Quando le chiedevo che cosa c’era – se c’era – qualcosa dopo questa vita, lei invece che incupirsi o cambiare argomento, mi sorrideva tranquilla e mi rispondeva sempre “certo che c’è, c’è un’altra vita bellissima, piena di luce e non vedo l’ora di poter vedere che viso ha Dio”. E poi aggiungeva “ti immagini che bello, poter rivedere tutti i tuoi cari?”. E in queste frasi secondo me c’è tutta l’essenza della nonna: la sua fede incrollabile e l’amore per la sua grande famiglia, da quella di origine di Cordenons fino a quella che poi si è creata scegliendo di venire qui a Falcade, tra le sue amate montagne. Ogni tanto non la vedevo più in cucina e iniziavo a cercarla in giro per casa, per poi trovarla in terrazzo persa a guardare un tramonto estivo. Allora mi mettevo di fianco a lei a guardarlo, poi per scherzo le dicevo “comunque le montagne sono sempre le stesse eh”. E lei sorridendo mi rispondeva “ti sbagli, se le guardi bene ogni sera ci trovi qualcosa di diverso, e comunque mi piacciono come il giorno in cui sono arrivata qui. Anzi, forse anche di più”. E poi da lì iniziava a raccontarmi di quanto fosse stato difficile lasciare la sua famiglia e la sua Cordenons, ma di quanto la sua scelta di venire a vivere a Falcade per amore fosse stata quella giusta. Anche se ogni tanto ci teneva a provocare il nonno dicendo “ah io sono venuta per queste montagne, mica per te!”. Comunque a me questa cosa che, quando parlavamo di quello che ci sarebbe stato dopo questa vita, lei la prendesse così bene, un po’ mi scocciava. E mi arrabbiavo, dicendole frasi del tipo “non ci vuoi abbastanza bene”, “vuoi più bene a Dio che a noi”, al che lei mi faceva di nuovo quel sorriso dolce, rassicurandomi. Allora prima è nato Joshua, quindi per un po’ mi ha risposto “tranquilla che devo prima veder sistemato Joshua”, poi è arrivato Pietro e quindi “tranquilla che devo veder crescere Pietro”, e alla fine Federico, el so picinin, che ovviamente non poteva darle meno gioia degli altri, e quindi ci ha regalato ancora del tempo con lei. Forse ultimamente avrà pensato che, essendo diventata addirittura bisnonna del piccolo Enea, potesse essere felice così e andarsene serena. Tutto ciò per dire che è inevitabile essere tristi in momenti come questo. Tutti noi lo siamo perché la nonna era una persona buona che aveva sempre una parola gentile per tutti. Ma con questo aneddoto vorrei dire a tutti noi che dovremmo affrontare il viaggio della nonna davvero serenamente, perché io in 28 anni non ho mai visto una sola volta il suo viso triste al pensiero di andarsene. A noi nipoti ha insegnato l’amore per la famiglia, per la natura e le piccole cose. Come quando le dicevo che avrei voluto gli occhi verdi come i suoi, e lei mi rispondeva sempre “ma tu ce li hai marroni come i cerbiatti nei boschi, e i cerbiatti sono bellissimi”. Non ci hai mai fatto mancare un tè caldo nei pomeriggi d’inverno, una fiaba per addormentarci alla sera quando con la Sharon e la Nicole chiedevamo di poterci infilare tutte e tre insieme nel lettone. Non mancava mai un film o un cartone animato insieme anche se magari era la trecentesima volta che la costringevi a rivederlo perché era il tuo preferito. Ci ha insegnato le canzoni dello Zecchino d’Oro, anche se alla fine si inventava sempre le parole, e ci ha insegnato a fare i cruciverba, sempre lamentandosi perché mettevano troppi termini inglesi che lei non capiva. Ci siamo improvvisati investigatori guardando ogni puntata della Signora in Giallo, e mentre ci cucinava un piatto di pasta al pomodoro si vantava di aver scoperto il colpevole anche prima di lei. Ogni tanto provava a insegnarci anche la sua bellissima lingua – e mi raccomando a chiamarla “fòlpo” e non “furlan” – che non è la stessa cosa. Con questo devo dire che ha avuto risultati un po’ più scarsi, ma ci ricorderemo sempre quel modo di parlare misto tra i suoi due dialetti che aveva solo lei. Alla nonna piacevano tanto le storie, di qualsiasi genere: le storie a fumetti degli indiani d’America, le fiabe, romanzi gialli, storie d’amore e di fantasia. Ma penso che, alla fine, la storia più bella sia proprio quella che ha scritto insieme alla sua famiglia. Grazie di cuore.