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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di Giovanni Pietro Crosato, già collaboratore di Agordino Più Notizie (1996-2005)
Come sempre avvenuto in tutte le ricorrenze della strage del 20-21 agosto del 1944, anche nell’ultima aleggiava su tutta questa vicenda una domanda: perché i colpevoli non sono mai andati in carcere? So che questa domanda sembra senza risposta, soprattutto dopo che per anni si è detto e ridetto che due erano in condannati all’ergastolo. Anche nell’ultima manifestazione è stata replicata quest’affermazione, lasciando che ognuno si dia una risposta. Il motivo potrebbe essere presto detto: perché non ebbero mai ad avere una sentenza definitiva, ovvero passata in giudicato che ne decretasse la condanna ad un periodo di reclusione. Insomma, per essere chiari, non si ebbe mai una sentenza che fosse intangibile e non più modificabile e che quindi non poteva essere contestata con gli ordinari mezzi di impugnazione (Appello e Cassazione, per intenderci), che li condannasse alla reclusione. Il tutto si può dedurre andando a visionare, anche in estrema sintesi, quale sia stata la vicenda processuale dei principali imputati. L’iter giudiziario inizia con l’esposto datato 26 gennaio 1970 redatto dal signor PASQUALE Mariano e indirizzato al Procuratore Generale della Repubblica presso il Tribunale di Belluno. A questo segue il Rapporto Giudiziario (ora sarebbe definita “comunicazione di notizia di reato“) del Nucleo Investigativo dell’allora Gruppo (ora “Comando Provinciale”) Carabinieri di Belluno datato 12 ottobre 1970 indirizzato alla Procura della Repubblica di Belluno. Essendo una delle vittime magistrato presso il tribunale di Belluno, il procedimento fu però trasferito per legittima suspicione dal capoluogo veneto, sua sede naturale, alla Corte d’assise di Bologna. Con il tempo già il Giudice Istruttore presso il Tribunale di Bologna in data 25 maggio 1978 riduceva da cinque a due gli indagati del predetto rapporto giudiziario pronunciando delle sentenze irrevocabili di assoluzione. Ciò portava a che rimanessero come indagati solo lo Schintlholzer Alois (nato 18 dicembre 1914) e il Fritz Erwin (nato 24 giugno 1914). Si arriva, quindi, al primo processo a loro carico dei due che si tiene presso la Corte d’assise di Bologna dal 21 maggio al 7 luglio 1979 e che si concluse con la condanna all’ergastolo per i due imputati. Condannati, però, solo in contumacia poiché sia l’Austria che l’allora Germania Ovest, ove si trovavano residenti, non solo non concessero l’estradizione ma nemmeno la mera possibilità di un interrogatorio per rogatoria. Sembra che con la loro condanna la pratica sia oramai arrivata al capolinea, ma non è così. Avvenne, infatti, il ricorso dei condannati e, nel 1981, la Corte d’Assise d’appello di Bologna, rilevò il proprio difetto di giurisdizione quale autorità giudiziaria ordinaria e assegnò la competenza al procuratore militare di Verona. Il procedimento a questo punto ripartiva nuovamente dall’inizio. Dopo qualche anno anche il Tribunale militare, il 15 novembre 1988, condannava all’ergastolo lo Schintlholzer per “concorso in violenza con omicidio continuato ed aggravato contro privati cittadini italiani” (da Sentenza 217/88 Tribunale Militare Verona). Il maresciallo Fritz Erwin, invece, si vedeva assolto sia del citato reato di “concorso in violenza con omicidio continuato ed aggravato contro privati cittadini italiani” (Ibidem) che pure anche per “concorso in incendio e distruzione continuati ed aggravati in paese nemico” (Ibidem) “limitatamente all’episodio occorso in Tegosa, per insufficienza di prove” (Ibidem) e prescritti i reati di incendio e saccheggio per quel che riguarda Gares (erano trascorsi circa 44 anni dall’evento). Anche questo sembra un punto fermo, ma non lo è. Si ha a questo punto l’appello della difesa e del PM, ma e viene accolto solo quello della prima. Il “seguito sentenza n. 217/88”, che possiamo definire definitivo, arriva il giorno 08 giugno del 1990 e passa in giudicato il 19 settembre successivo. In questo atto viene ad essere il maresciallo praticamente viene assolto dai reati di violenza con omicidio contro privati cittadini italiani, saccheggio, incendio e distruzione in paese nemico in relazione agli episodi occorsi in Sappade, Fregona, Caviola, Falcade, Feder, Tabiadon di Val e Tegosa. Assoluzione, come da sentenza, PER NON AVER COMMESSO I FATTI. Anche anche in questo caso gli resta la prescrizione per i fatti (incendio e saccheggio) avvenuti in Gares. Per quanto riguarda l’Alois Schintlholzer beh si deve annotare che prima dell’arrivo del “seguito sentenza n. 217/88” egli lasciò questo mondo in quanto la sua dipartita avvenne a Bielefeld (Germania) nel giugno del 1989. A questo punto non rimase ai Giudici altro da fare se non, in sede di sentenza, quella di annotare l’evento morte e concludere con un non doversi procedere nei suoi confronti. Infatti l’articolo 150 del codice penale recita che: “La morte del reo, avvenuta prima della condanna, estingue il reato” e, pertanto, si estinguono di conseguenza anche tutti i rapporti penali (nella sentenza si parla di estinzione del reato per “motivi del reo”). La legge prescrive che, in ogni stato e grado del processo, quando il giudice riconosce il reato estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza. In estrema sintesi: l’ufficiale era morto ed il suo reato estinto e il maresciallo era stato oggetto di una assoluzione e di una prescrizione. Insomma, per dirla chiara, non mi sembra esistesse un condannato in via definitiva per questa strage di cui avremmo potuto chiedere l’estradizione.
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