di RENATO BONA
Non saremo mai abbastanza grati a Pieranna Casanova per aver curato in modo eccellente il libro “Una storia, tante storie” in cui riferisce della vita e della gente del Canal del Mis. E per aver ospitato, con altre firme prestigiose, l’ottimo contributo di Piero Rossi, accademico del Cai e scrittore importante, purtroppo mancato, autore del capitolo intitolato “Il Parco delle Dolomiti” con riferimento specifico alla realtà di Gena. Edito nel 1999 per i tipi della bellunese tipografia Piave il volume è stato splendida iniziativa della Biblioteca civica di Sospirolo e dell’associazione pro loco “Monti del Sole” sotto l’egida del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi. Partendo da un passaggio di Luigi Meneghello in “I piccoli maestri”: “Gena. C’era Gena Bassa e Gena Alta. per me sono attributi della stessa sostanza, un paese fortemente in obliquo, quasi in piedi su un costone. La gente parlava un dialetto come il nostro, dal più al meno, ma sfasato nelle cadenze. Anche tutto il resto pareva sfasato; cioè per un verso normale e per un verso allucinante…” Rossi definisce Gena Bassa, Gena Media, Gena Alta (Iéna nella forma dialettale) “poveri villaggi aggrappati ai dirupi della Val Soffia, congiunti da un’erta mulattiera, da cui si diramano sentieri, che spesso si riducono ad esili tracce, lungo cenge rocciose sospese su paurosi abissi, Selvagge manifestazioni della natura, come la cascata de ‘La Pissa’, che dalla Val dei Forti, piomba, con un salto allucinante, nella media Val Soffia e, lungo questa, di balzo in balzo, sbocca nella Val del Mis”. E ricorda: “Verso l’inizio degli anni ‘60 salii spesso lassù dove erano rimaste solo poche persone fra cui una vecchietta sdentata e sorridente…” per puntualizzare: “La mancanza di prospettive, l’espropriazione del fondo valle per la creazione del bacino idroelettrico della Val del Mis, la disponibilità dei relativi indennizzi, segnavano irrevocabilmente il destino di una comunità alpina: un pugno di biglietti da mille suggellava il genocidio (ed il termine, che – nella specie – si presterebbe a tristi giochi di parole, non paia eccessivo)”. Aggiungendo: “Le case di Gena Alta erano povere, ma non misere e, sul lindo impianto delle cucine si sarebbe potuta deporre senza timore la polenta fumante. Il paese era stato bruciato durante i terribili rastrellamenti del 1944 e ricostruito nel dopoguerra. A fondo valle e lungo il sentiero, lapidi con file di nomi e di ritratti smaltati. Erano gli uomini di Gena, quelli sopravvissuti al ‘grisù’ ed alla ‘pussiera’, alla teleferica e al cantiere, all’Africa ed alla Grecia, al Montenegro ed alla Russia, fucilati sulla soglia delle loro case, morti in silenzio e con dignità, persino senza stupore, come se morire per la Patria e la Libertà non fosse che uno dei tanti atti di dovere e sacrificio, di cui era stata costellata tutta la loro vita”. Ricordo toccante di Piero Rossi la silenziosa processione delle donne di Gena, “tutte in fila, giovani e vecchie, abito, calze di lana, fazzoletto annodato neri, che scendevano – ai piedi gli scarpetti intessuti o gli scarponi ferrati, sulle spalle la pesante gerla di vimini – lungo la mulattiera all’osteria de la Soffia , dove, periodicamente, un funzionario veniva a pagare la pensione alle vedove del lavoro, della guerra o della resistenza”. Con una amara considerazione: “Quassù le nozze non erano tanto un contratto per la vita, ma per la morte. L’uomo prometteva alla sua donna un po’ d’amore, un po’ di figli, molti sacrifici, ed un giorno una pensione di vedova”. Oggi a Gena non è rimasto nessuno. Le case sono lì, spesso come nuove, aperte, con mobili e suppellettili ancora al loro posto, i focolari che sembrano implorare il fuoco. Villaggi di fantasmi, uno spettacolo allucinante e struggente, in un silenzio arcano, rotto solo dal rombo delle cascate. Sull’orlo della Val Soffia, in un anfratto, è rimasta l’ingegnosa officina con gli attrezzi di lavoro abbandonati. Più in là, nel prato, giace una rozza Madonna impagliata con la ronca ed un Gesù Bambino congiunto al petto della Madre con un chiodo arrugginito. Nelle case deserte, qua e là, fasci di vecchie carte ingiallite… Segue la citazione di alcuni documenti e immagini fra i quali Piero Rossi cita l’incredibile numero e varietà delle cartelle delle imposte di ogni epoca e regime che emergono dalle vecchie credenze, dai pacchetti di carte legate con uno spago, dalle buste ingiallite” per non dire di pagelle e quaderni scolastici, immagini di bambini sani, intelligenti (con un bimbo che si è permesso di scrivere ‘osèi e ‘pite’ anziché uccelli e galline…). Il finale del saggio di Rossi è per prendere atto che “La civiltà dei consumi ha vinto la sua battaglia contro il piccolo, eroico popolo di Gena… Le tracce di una secolare civiltà vanno, pian piano, cancellandosi, fra i dirupi del Monte Gena e le gole di Val Soffia. La tecnologia ha eretto il suo monumento in Val del Mis… Se tutta la valle, da California a Mis è, ora, un deserto, i conti dei concessionari idroelettrici tornano e questo è ciò che importa”. Ma, aggiunge: “Peccato che i Monti del Sole non si prestino molto a lottizzazioni e ‘sciòpoli’, se no, previo accurato spianamento dei terrazzi di Gena, a mezzo di ruspe ed esplosivi, un bel ‘villaggio turistico’, in stile finto svizzero-caprese, ideato da qualche architetto di talento, potrebbe meritare attenta considerazione!”. Detto che il Pizzón e, soprattutto, il Ferùc ed i Monti del Sole, hanno costituito, per più di una generazione di alpinisti, un autentico mito, l’autore conclude esprimendo un auspicio: “Noi vorremmo che questo mito di regione misteriosa e selvaggia non venisse eccessivamente insidiato… Non si dovrebbe aggiungere molto a quanto è già stato fatto, soprattutto per quanto concerne le vette e i valichi superiori… e l’alpinista che qui dovrà avere la pazienza del pioniere e l’intuizione del valligiano, potrà fare scoperte straordinarie, non solo per la presenza di guglie, torri e possenti pareti, ancora assai poco esplorate, ma per tutto un insieme di aspetti alpestri, fatti non solo come si potrebbe pensare, non essendosi mai inoltrati in questo gruppo, di orridi burroni, ma anche di conche aperte e silenti, dove si intuisce la traccia del camoscio, e di eccelse terrazze di pascolo… Per il resto, lasciamo, nell’era di un Parco, per sua natura pressoché integro, un’isola ancor più privilegiata, nella sua verginità”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Una storia, tante storie” di Pieranna Casanova): lo scomparso scrittore e accademico del Cai Piero Rossi nella copertina del libro “Piero Rossi. Ragioni ed passioni di un uomo di talento” che Bepi Pellegrinon con Nuovi Sentieri Editore gli ha dedicato; Gena Alta; la stessa borgata, anni ‘80; monti della Val del Mis: da sinistra il Piz de Mezodì, i Feruch, la Cima del Bus del Diàol, le Coraie; il lago del Mis; i fratelli Case a Gena Media: Giorgetta (nata nel 1949), Caterina (1953), Teresa (1950), Giorgio (1951), mancano il più vecchio, Luigi, nato nel 1947, ed il più giovane, Ivo, nato nel 1955; la cascata della Soffia, anni ‘20; ancora Gena Alta anni ‘80; il Campanil de Géna; Canal del Mis con le località Pissa e Stùa; torrente Mis in corrispondenza della levàda, sullo sfondo la casa Fontana a I Belin; la segheria dei Pelìn (Vigne) a Mis; scorcio dell Hotel di Gena Bassa; il postino Mosè Cibien con la famiglia, anno 1953; bambini a Gena Media nedgli anni ‘50: nel paese abitavano le famiglie Casanova di: Angelo, Augusto, Caterina, Ernesto, Eugenio, Primo, Onorato, Girolamo De Lorenzo, Domenico Tibolla.